Gli americani lo chiamano “drug repositioning”, l’utilizzo di farmaci già in commercio per curare malattie diverse da quelle per cui sono stati progettati. È questo il caso dello spironolattone, un diuretico sviluppato più di 50 anni fa che ora verrà “rispolverato” nel trattamento dell’ipertensione resistente. I risultati positivi dei test sono stati presentati la scorsa settimana in occasione del congresso dell’European Society of Cardiology (ESC) svoltosi a Londra.
LA PRESSIONE NON SCENDE
Nella maggior parte dei casi per abbassare la pressione arteriosa bastano pochi accorgimenti. Quando alimentazione e attività fisica non bastano si ricorre all'utilizzo degli anti-ipertensivi, una classe di farmaci ampiamente diffusa e dalla buona efficacia. Esiste però una fetta di popolazione ipertesa (15%) che, nonostante i farmaci, rimane con valori di pressione troppo elevati. In questi casi, quando nonostante il mix di tre o più farmaci la pressione non scende al di sotto di 150/90 mm Hg, si parla di ipertensione resistente. Alla base del disturbo vi è un'aumentata attività del sistema nervoso simpatico e in particolare di quei nervi che circondano i reni, organi deputati - tra le tante attività che svolgono - a regolare proprio la pressione arteriosa. Ecco perché una delle possibili strategie per controllare il disturbo consiste nella rimozione di queste fibre. Accanto a questo approccio chirurgico però i farmacologi sono al lavoro per individuare nuove strategie terapeutiche.
LA RIVINCITA DEL DIURETICO
Una di queste è più semplice di quanto si possa pensare e consiste nell’utilizzo di un vecchio diuretico. La molecola in questione è lo spironolattone, un composto oggi utilizzato principalmente nel trattamento dello scompenso cardiaco congestizio. L’idea di utilizzare lo spironolattone è nata tempo fa partendo dall’analisi di piccoli studi che indicavano l’efficacia nel trattamento dell’ipertensione resistente. Ora, grazie allo studio PATHWAY-2 è stato possibile verificare su un campione più ampio l’effettivo funzionamento del farmaco. Dalle analisi è emerso che la molecola in questione, associata ai farmaci correntemente in uso per l’ipertensione (un ACE-inibitore o un sartano e un calcio antagonista), è risultata efficace nel tenere sotto controllo i valori pressori nel 60% dei partecipanti allo studio. Un risultato molto importante che influenzerà le linee guida future del trattamento dell’ipertensione resistente.