Chiudi
Cardiologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 21-06-2016

Troppo sodio non provoca l’ipertensione: bufala o verità?



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

Secondo uno studio canadese a ridurre i consumi di sodio dovrebbero essere soltanto persone con ipertensione. Ma in Italia usiamo ancora troppo sale

Troppo sodio non provoca l’ipertensione: bufala o verità?

«Una dieta a basso contenuto di sodio è utile soltanto se si è ipertesi». Anzi no. «L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo dice sulla base di solide evidenze: il consumo giornaliero di sale deve essere inferiore a cinque grammi, che equivalgono a circa due grammi di sodio». All’interno della comunità scientifica è andato in scena un botta e risposta, negli ultimi giorni. Al centro della discussione il consumo di sale e il suo ruolo nei meccanismi di insorgenza dell’ipertensione, che rimangono confermati: nonostante uno studio pubblicato su The Lancet.


Otto consigli per limitare i consumi di sale


LA RICERCA CONTESTATA

I ricercatori canadesi della McMaster University (Hamilton) hanno lanciato un messaggio che ha avuto un’ampia eco. «Una dieta a basso contenuto di sale si associa a un aumento del rischio di malattie cardiovascolari e di morte rispetto a un consumo medio». Gli scienziati sono giunti a questa conclusione dopo aver coinvolto più di centotrentamila persone in un’analisi mirata a valutare l’associazione tra l’apporto alimentare di sodio e l’incidenza di eventi e morti cardiovascolari. Dai risultati è emerso che seguire una dieta a basso contenuto di sodio, indipendentemente dalla presenza o meno di ipertensione, si associa a una maggiore frequenza di attacchi cardiaci, ictus e decessi rispetto a un'assunzione media.

Parlando di ridotte quantità di sodio, i ricercatori fanno riferimento a meno di tre grammi al giorno: equivalenti a circa 7,5 di sale. I risultati sono stati descritti come «estremamente importanti» da Andrew Mente, docente di epidemiologia clinica e biostatistica alla McMaster University e prima firma della pubblicazione. «Perché ribadiscono quanto sia importante ridurre l’assunzione di sale, se si è ipertesi. Ma per tutti gli altri la stessa scelta potrebbe avere un effetto controproducente».

 

LA BOCCIATURA DEGLI SCIENZIATI ITALIANI

Il messaggio, lanciato attraverso le colonne di una rivista prestigiosa, è stato respinto dalla comunità scientifica italiana. L’Istituto Superiore di Sanità, definendo l’articolo «frutto di un’indagine di scarsa qualità», ha sentito la necessità di fare chiarezza: «Il sale da cucina favorisce l’aumento della pressione arteriosa, principale causa di infarto e ictus, la calcolosi renale, l’osteoporosi, e alcuni tumori: in particolare quello allo stomaco». Secondo Pasquale Strazzullo, direttore del dipartimento ipertensione e prevenzione cardiovascolare del Policlinico Federico II di Napoli e presidente della Società Italiana di Nutrizione Umana, «lo studio è inadeguato, perché molti dei partecipanti erano soggetti ad alto rischio cardiovascolare: ipertesi, diabetici, dislipidemici, già colpiti da un infarto o da uno scompenso cardiaco. La determinazione più appropriata per stimare il consumo di sale è l’escrezione di sodio nelle urine delle ventiquattro ore. E non c’è alcuna plausibilità biologica per spiegare come mai un consumo di sale di cinque grammi al giorno debba essere più dannoso di uno di dodici».


Come si misura la pressione sanguigna?


GLI ITALIANI DEVONO DIMEZZARE I CONSUMI DI SALE

Il consumo di sale nella popolazione italiana adulta è in media circa doppio rispetto alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e maggiore nelle regioni del Sud, rispetto a quelle settentrionali e centrali. Il dato è emerso da una ricerca pubblicata sul British Journal of Medicine, in cui è stato valutato il consumo alimentare di sodio e di potassio in un campione nazionale di popolazione generale adulta. I partecipanti residenti nelle regioni del Sud Italia presentavano un consumo medio di sale superiore agli 11 grammi al giorno e non conforme a quello rilevato nel resto del Paese. Dall’indagine è emerso pure che le persone occupate in lavori manuali presentano un consumo di sale maggiore rispetto a coloro che sono impegnati in ruoli amministrativi e manageriali. Idem dicasi in relazione al grado di istruzione: con gli italiani in possesso della licenza elementare che consumano più sale rispetto ai diplomati e ai laureati.

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina