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Daniele Banfi
pubblicato il 03-06-2021

Reinfezioni da Covid-19 rare grazie alla risposta cellulare



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Le reinfezioni sono fenomeno raro. Anticorpi e cellule T garantiscono la risposta al virus, anche in presenza di varianti differenti rispetto all'infezione originale

Reinfezioni da Covid-19 rare grazie alla risposta cellulare

Una reinfezione Covid-19 è evento assai raro. Il merito, oltre che degli anticorpi sviluppati grazie all'incontro con Sars-Cov-2, è della risposta mediata dalle cellule T. A metterlo nero su bianco ci ha pensato un recente studio pubblicato su Science Immunology. Ma c'è di più: rispetto al virus originale la risposta delle cellule T riesce a garantire il riconoscimento e l'eliminazione delle cellule infettate anche da varianti differenti rispetto all'infezione originale

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COME FUNZIONA LA RISPOSTA IMMUNITARIA?

Quando il nostro corpo viene in contatto con un agente esterno potenzialmente dannoso produce una reazione immunitaria composta da due fasi: quella aspecifica -presente già alla nascita e non dipendente da incontri pregressi- e quella specifica -diretta in maniera precisa contro quel determinato agente esterno. Quest'ultima è essenzialmente mediata da due tipi di cellule: i linfociti B e i linfociti T. I primi sono i responsabili della produzione di anticorpi, i secondi della risposta cellulare al virus. In entrambe in casi in seguito da un'infezione o alla vaccinazione si creano specifiche cellule della memoria in grado di attivarsi in caso di incontro con il patogeno. 

GLI ANTICORPI DURANO NEL TEMPO

Per quanto riguarda gli anticorpi che si generano in seguito ad infezione o a vaccinazione, gli ultimi studi a riguardo indicano la persistenza -seppur con livelli che si riducono nel tempo- di anticorpi sino ad almeno 11 mesi. Questo non significa che dopo quel termine la persona non ne sarà più provvista. Il dato si riferisce al solo periodo di osservazione e potrebbe durare molto di più. Non a caso un recentissimo studio pubblicato dalla rivista Nature ha dimostrato che, nelle persone che hanno recuperato dalla malattia, sono rilevabili nel midollo osseo plasmacellule di lunga durata capaci -se stimolate- di produrre nuovamente anticorpi contro il virus. Un'indicazione che supporterebbe la tesi della lunga durata dell'immunità a Sars-Cov-2.

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LE RARE REINFEZIONI

Nel frattempo, visto che solo le osservazioni su lungo periodo ci potranno dire l'effettiva durata dell'immunità, uno studio pubblicato su Jama International Medicine ha cercato di quantificare la percentuale di reinfezione al virus. L'analisi, realizzata in Lombardia dall'ASST Ovest Milanese, ha dimostrato -ad un anno di distanza dalla prima ondata- che in chi ha avuto la malattia solo lo 0,07% è andato incontro ad una seconda infezione. Un evento, dunque, altamente improbabile.

LA RISPOSTA A CELLULE T

Ma a concorrere a questo "successo" non è solo la presenza degli anticorpi e delle cellule B che li producono. Al pari degli anticorpi, nella genesi di un'immunità a lungo termine, vi è la risposta mediata dalle cellule T. Questi linfociti infatti, a differenza dei B deputati alla produzione di anticorpi, hanno il preciso compito di riconoscere le cellule infettate dal virus. Ciò avviene perché queste utlime, quando il virus è presente, espongono sulla propria superficie una sorta di "marchio" che sta ad indicare l'avvenuta infezione. In questo modo i linfociti T possono riconoscerle, legarsi ed eliminarle. Ciò accade anche in caso di infezione da Sars-Cov-2. Come per i linfociti B, esistono anche i linfociti T della memoria

Nello studio pubblicato su Science Immunology i ricercatori hanno dimostrato che queste cellule, prodotte in seguito all'infezione da Sars-Cov-2, sono state in grado di riconoscere la presenza di cellule infettate non solo dal virus originale ma anche dalle varianti inglese e sudafricana. Un risultato importante perché, mentre per queste varianti la risposta degli anticorpi pur essendo efficace diminuisce di "potenza", con le cellule T non si è verificata alcuna capacità della variante di evadere la risposta immunitaria.

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STUDIARE LE VARIANTI

Attenzione però a pensare che il monitoraggio delle varianti non serva perché la risposta cellulare eviti le reinfezioni. Pur essendo molto rare da qui in avanti sarà molto importante sequenziare il virus in quelle persone che si infettano, specialmente dopo la vaccinazione. Solo in questo modo sarà possibile sapere che tipo di virus abbiamo davanti e la sua eventuale capacità di evadere la risposta immunitaria. Una conoscenza necessaria per, eventualmente, "tarare" il vaccino con un richiamo disegnato sulle caratteristiche della variante.

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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