Obbiettivo dei test sierologici è la rilevazione degli anticorpi diretti contro la proteina spike di Sars-Cov-2. Che siano qualitativi o quantitativi non tutti sono affidabili. Ancora da individuare un test in grado di predire la memoria immunologica
Se per la diagnostica e le attività di screening e contact tracing vi sono strumenti validati a livello internazionale, lo stesso non si può dire per i test sierologici, vale a dire quelli che rilevano la presenza di anticorpi prodotti in risposta alla malattia da COVID-19 o al vaccino. Ce ne sono diversi in circolazione, alcuni addirittura fai da te che si possono fare a casa, ma la cui validità scientifica è ancora tutta da dimostrare. “Il test sierologico al momento è sottostimato e l’utilità che vedo io è molto ridotta -spiega Fortunato Paolo D’Ancona, medico e primo ricercatore del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità- di certo non serve per capire la reale immunizzazione protettiva e se posso vaccinarmi o meno. Può aver senso usarlo nell’ambito della ricerca clinica”. Opinione condivisa anche da Pierangelo Clerici di AMCLI: “Sui sierologici non c’è uno standard internazionale. Al momento non esiste una validazione del test per la memoria immunologica. Quindi il vaccino ad oggi è raccomandabile a tutti, anche a chi ha già avuto la COVID. I test ora possono dirmi se si sono sviluppati gli anticorpi indotti dalla vaccinazione o dalla malattia, ma nessun esame è in grado di dirmi se sono protetto, a che livello sono protetto e per quanto tempo”. Vediamo brevemente i principali test sierologici in circolazione.
ANTICORPI NEUTRALIZZANTI
Questi anticorpi sono molto efficaci nel combattere l’infezione da coronavirus, poiché si legano a una regione specifica della proteina spike del virus, chiamata RBD, Receptor Binding Domain (è quella regione che permette al virus di agganciarsi alle cellule umane e infettarle). Sono questi gli anticorpi che vengono stimolati dai vaccini anti-COVID e se i test fossero validati a livello internazionale, potrebbero quindi aiutare a valutare l’efficacia dei vaccini e a capire se chi ha avuto l’infezione ha sviluppato questo tipo di difese così preziose. Se si potessero individuare soglie minime di anti-RBD al di sopra delle quali non è necessaria un booster o una terza dose di vaccino, si potrebbe ottimizzare la campagna vaccinale. Ma per questo, evidentemente, ci vuole ancora tempo. Pertanto, al momento, questo test non può essere usato per capire se ci si può vaccinare e quanto siamo protetti da un’eventuale nuova infezione. Va inoltre ricordato che il test sugli anticorpi neutralizzanti non aiuta a capire quando si ci è infettati o a quando risale la prima produzione di anticorpi, perché misura tutti gli anti-RBD: IgM (quelli prodotti nel corso dell’infezione), IgG e IgA (prodotti nelle settimane successive).
SIEROLOGICI QUANTITATIVI
Gli esami sierologici classici individuano gli anticorpi che riconoscono la proteina spike, senza differenziare tra regioni, come invece fanno gli anti-RBD. Il vantaggio di questo test è poter valutare separatamente gli anticorpi IgG o IgM. E questo, a differenza del test anti-RBD, può fornirci almeno un’indicazione temporale di quando è avvenuta l’infezione, anche se non è utile per stimare l’efficacia protettiva degli anticorpi. Quindi, per fare un esempio, se gli IgM sono positivi e gli IgG negativi, significa che ci siamo infettati da pochi giorni. Se IgM e IgG sono entrambi positivi l’infezione è avvenuta da meno un mese (ma più di dieci giorni). Se invece IgM sono negativi e IgG è positivo, vuol dire che l’infezione è presente da almeno 21 giorni.
...E QUALITATIVI
Finora abbiamo parlato di test quantitativi, ma esiste anche un’altra tipologia, che misura la qualità degli anticorpi anti-nucleocapside del virus. È un test rapido, anche se meno preciso dei precedenti però ha il vantaggio di individuare gli anticorpi che riconoscono il nucleocapside (la proteina N che protegge il genoma del virus), prodotti solo dall’infezione naturale (e non dai vaccini). Come abbiamo detto, i vaccini permettono di riconoscere una certa regione della proteina Spike (l’RBD) e non tutte le altre, come il nucleocapisde. Ecco l’utilità: con un test come questo, anche chi si è vaccinato può capire se si è comunque infettato in modo naturale.
VALUTARE LA MEMORIA IMMUNOLOGICA
Come ampiamente spiegato in questi mesi di pandemia, il nostro sistema immunitario fa affidamento sugli anticorpi presenti nel sangue per difendersi, ma non solo. Accanto a questa immunità umorale, ce n’è una anche cellulare, e dura più a lungo delle nostre prime linee di difesa. L’immunità cellulare protettiva si basa sulla produzione di linfociti T citotossici che riescono a uccidere le cellule infettate dai virus. Insieme alle cellule B della memoria - che producono anticorpi specifici contro i microrganismi già incontrati in passato o in risposta ai vaccini- i linfociti T formano la memoria cellulare che ha un ruolo fondamentale nella risposta contro SARS-Cov-2, in caso di un nuovo incontro con il virus. Come hanno dimostrato diversi studi, la memoria immunologica contro questo virus può durare fino ad almeno 8 mesi dall’infezione, se non di più. La sfida è trovare un test che ci dica se abbiamo sviluppato questa memoria immunologica e a quale livello.
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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista dal 2009, scrive di medicina e sanità per diverse testate nazionali. Si occupa anche di comunicazione in ambito medico e sanitario. Dirige un portale dedicato al mondo dei pazienti, www.medoramagazine.it.