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Daniele Banfi
pubblicato il 16-03-2021

Varianti virali: i vaccini sono comunque efficaci



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I vaccini oggi sul mercato sono in gran parte efficaci contro le varianti inglese, sudafricana e brasiliana. Ma la risposta anticorpale non è la sola a difenderci

Varianti virali: i vaccini sono comunque efficaci

I vaccini oggi in commercio, seppur con alcune piccole differenze, riescono a contrastare efficacemente le varianti virali ad oggi emerse. In particolare, il vaccino di Pfizer-BioNTech, secondo uno studio pubblicato da poco sulle pagine del New England Journal of Medicine, è in grado di neutralizzare la variante inglese, sudafricana e brasiliana. Un risultato fondamentale, che rappresenta la "prova del nove", in quanto ottenuto analizzando gli anticorpi prelevati dal sangue degli individui vaccinati.

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CHE COSA SONO LE VARIANTI?

Qualsiasi virus, quando si moltiplica, porta con sé degli errori di “copiatura” nel proprio codice genetico. Sars-Cov-2 non è da meno. Dalla prima sequenza conosciuta e depositata ad inizio gennaio 2020 ad oggi sono moltissime le mutazioni che si sono andate a creare. Si tratta di un fenomeno del tutto naturale. Più il virus si moltiplica e più è soggetto ad errori. Un esempio è il virus influenzale, talmente mutevole in alcune porzioni da dover richiedere, per la buona riuscita di un vaccino, un aggiornamento annuale.

Sul fronte Sars-Cov-2 quando queste mutazioni -che avvengono ad un ritmo inferiore rispetto al virus influenzale per via della presenza di un enzima capace di correggere- si accumulano nel tempo o comunque quando si verificano alcune particolare condizioni (come l’infezione nelle persone immunocompromesse) può accadere che il virus cambi le proprie caratteristiche al punto tale da dare origine ad una variante virale rispetto al virus originale. Ecco perché una sola mutazione, in sé, non può generare una nuova variante. Ad oggi, quelle che hanno più preoccupato gli scienziati sono la variante inglese, sudafricana e brasiliana. Varianti che hanno messo in allarme gli scienziati in quanto, oltre a cambiare le caratteristiche della malattia (variante inglese più contagiosa e probabilmente più letale), potenzialmente capaci di evadere la risposta immunitaria indotta dalle vaccinazioni oggi presenti sul mercato. Evasione quantificata come perdita di capacità da parte degli anticorpi di neutralizzare il "nuovo" virus.

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NEUTRALIZZARE IL VIRUS

Attenzione però ad interpretare i risultati. Una ridotta capacità di neutralizzare il virus da parte degli anticorpi non per forza significa perdita dell'efficacia del vaccino. Quando il corpo viene in contatto con Sars-Cov-2 -o con una porzione della proteina spike in caso di vaccinazione- le cellule di difesa cominciano a produrre anticorpi differenti ognuno capace di riconoscere diverse porzioni della proteina spike. Secondo gli studi più recenti sarebbero almeno 5-6 le zone della proteina spike attaccabili dai diversi anticorpi. Ed è per questa ragione che alcune mutazioni non sarebbero in grado di modificare a tal punto le caratteristiche della proteina da non essere più riconosciuta.

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I VACCINI FUNZIONANO

Per valutare l'eventuale perdita di efficacia uno degli esperimenti più importanti consiste nel valutare l'attività neutralizzante degli anticorpi generati tramite vaccinazione. Ciò è possibile, in laboratorio, mettendo a contatto il siero degli individui vaccinati con le diverse varianti virali. Ed è quello che è stato fatto nell'ultimo studio pubblicato nei giorni scorsi dal New England Journal of Medicine. In questo caso si tratta del vaccino a mRNA di Pfizer-BioNTech: dalle analisi è emerso che, seppur con alcune variazioni nella capacità neutralizzante, gli anticorpi indotti dal vaccino sono in grado di bloccare le varianti inglese, sudafricana e brasiliana. A questa ottima notizia si deve aggiungere quella relativa alla mantenuta capacità di neutralizzazione da parte del vaccino Moderna e Janssen. AstraZeneca è risultato anch'esso utile, soprattutto per la variante inglese, la più diffusa in Europa. Unico neo, relativo a quest'ultimo vaccino, è la parziale perdita di potere neutralizzante contro la variante sudafricana.

ANTICORPI MA NON SOLO

Ma la capacità di neutralizzazione del virus e la quantità di anticorpi non sono tutto. Anche una quantità minima di anticorpi potrebbe fornire protezione dall'infezione. Ciò accade, ad esempio, per alcune malattie come la rosolia dove può verificarsi una reinfezione che, se non è accompagnata da sintomi, non è affatto pericolosa, non rende il paziente infettivo ma si traduce solo in un aumento dell'immunità a beneficio del paziente. Non solo, molti virus respiratori che causano malattie che non forniscono immunità a vita dopo la guarigione, spesso le reinfezioni sono meno gravi rispetto allo sviluppo della "prima" malattia.

E a complicare, in meglio, il quadro dell'immunità a Sars-Cov-2 c'è anche la risposta immunitaria cellulare. Al pari degli anticorpi vi è infatti la risposta mediata dalle cellule T. Questi linfociti , a differenza dei B deputati alla produzione di anticorpi, hanno il preciso compito di riconoscere le cellule infettate dal virus. Ciò avviene perché queste ultime, quando il virus è presente, espongono sulla propria superficie una sorta di "marchio" che sta ad indicare l'avvenuta infezione. In questo modo i linfociti T possono riconoscerle, legarsi ed eliminarle. Ciò accade anche in caso di infezione da Sars-Cov-2. Bene, uno studio -seppur preliminare- ha dimostrato che indipendentemente dalla variante le cellule T sono in grado di riconoscere la cellula infettata. Questo significa che una reinfezione difficilmente sarà più grave della prima.

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CAMBIARE IN CORSO D'OPERA

Le buone notizie sulla capacità di protezione contro le varianti non devono però far abbassare la guardia sul tema. Poter monitorare l'evoluzione del virus è di fondamentale importanza per poterlo contrastare. Non solo, avere a disposizione dei test specifici di laboratorio utilizzando il siero dei pazienti vaccinati sarà utile per valutare l'eventuale perdita di potere neutralizzante da parte di possibili nuove varianti che potrebbero emergere in futuro. Dati importanti, quelli sul sequenziamento delle varianti e sulla capacità di essere neutralizzate, da sfruttare per correggere nel caso in corso d'opera i vaccini. Un'operazione relativamente semplice grazie alla tecnologia dei vaccini a mRNA. 

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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