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Ginecologia
Caterina Fazion
pubblicato il 01-06-2022

Alcol in gravidanza: effetti dannosi sul bambino difficili da identificare



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Claudio Diaz, presidente dell’associazione AIDEFAD - APS, ci racconta il suo percorso, durato trentotto anni, per arrivare alla diagnosi di FASD

Alcol in gravidanza: effetti dannosi sul bambino difficili da identificare

Claudio ha passato trentotto anni della sua vita consapevole che qualcosa non andasse, incapace di capirne il perché. “Sono matto, e non posso far altro che subire questo appellativo”, è arrivato a ripetersi all’età di dodici anni. Poi è arrivata la diagnosi di FASD (spettro dei disordini feto alcolici).

 

ESPOSIZIONE ALL’ALCOL

Difficoltà nella gestione della rabbia, gesti di autolesionismo, cambiamenti repentini dell’umore, ansia, depressione, difficoltà scolastiche, abuso di alcol e sostanze stupefacenti fin dalla più giovane età hanno accompagnato Claudio per la maggior parte della sua vita, senza mai trovarne una causa. Queste difficoltà cognitive, emozionali e sociali, sono tutte riferibili al danno cerebrale causato dall’esposizione prenatale all’alcol che spesso, come è avvenuto per Claudio, sono difficili da intercettare e riconoscere correttamente. L’etanolo consumato da parte della madre durante la gravidanza passa la barriera placentare molto facilmente, e in qualunque dose. Anche il feto risulterà esposto allo stesso livello di alcol presente nel sangue della mamma, incapace, però, di metabolizzarlo a causa del fegato non ancora formato completamente.

 

COS’È LA FASD

Trattandosi di un individuo vulnerabile in fase di sviluppo, il rischio che il feto manifesti una delle anomalie che fanno parte dello spettro dei disordini feto alcolici (FASD), è alta. Si tratta per lo più di disturbi neuro-comportamentali e neuropsichiatrici che permangono durante l'adolescenza e l'età adulta. I bambini con FASD potrebbero avere deficit intellettivi e di attenzione, difficoltà relazionali e scarsa autonomia una volta cresciuti. Non tutti i sintomi sono ugualmente evidenti. La forma più grave è rappresentata dalla sindrome feto alcolica (FAS) che si manifesta anche a livello fisico con malformazioni facciali come naso corto e allargato, occhi piccoli e ravvicinati, solco tra naso e labbro, chiamato philtrum, appiattito che, con l’età, tendono ad attenuarsi.

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CONVIVERE CON LA FASD

«Quando la FASD non viene riconosciuta precocemente e non viene fornito il supporto necessario – riferisce proprio Claudio Diaz, presidente di AIDEFAD - APS, associazione italiana che si occupa dei disordini da esposizione fetale ad alcol e droghe – si creano tutta una serie di difficoltà secondarie come problemi di dipendenza da sostanze, problemi con la giustizia, difficoltà scolastiche e relazionali. Io ero ben consapevole di vivere delle difficoltà, anche cognitive, fin da bambino. Quando chiedevo spiegazione del perché mi trovassi ad affrontare quella determinata condizione, il feedback che ricevevo da parte della famiglia e dei professionisti era sempre riferito a una problematica psicologica, legata al trauma dell’abbandono da parte dei miei genitori naturali e alle difficoltà dell’adozione». La diagnosi differenziale è complessa e spesso tardiva, soprattutto in caso di assenza di segni fisici, confusa, ad esempio, con iperattività, disturbo borderline di personalità, depressione, deficit di attenzione o autismo.

 

LA SVOLTA VERSO LA DIAGNOSI

«Nel 2010, a seguito di un intervento per una cisti spinale – prosegue Claudio con il suo racconto – ho sviluppato una serie di infezioni post operatorie che mi hanno portato a essere ricoverato di urgenza per più di un mese, permettendo finalmente ai medici di rilevare una fitta sintomatologia neurologica, e non solo psicologica. Questo mi ha spinto a reagire e a essere attivo nel percorso di diagnosi e cura. Per capire se le mie problematiche avessero basi genetiche, ho ricercato la mia madre biologica, nel frattempo deceduta. Una serie di ricerche documentali mi ha permesso di accertare il fatto che i miei genitori abusassero di alcol e sostanze stupefacenti, anche al momento della gravidanza. Queste informazioni, unitamente ai dati clinici rilevati alla mia nascita – come basso peso, liquido amniotico fortemente tinto, placenta scarsa ed evidenti sintomi di astinenza, allora non considerati –, hanno portato alla diagnosi certa di FASD, dopo trentotto anni dalla mia nascita».

 

L’IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI PRECOCE

Diagnosticare la FASD precocemente, permette di attivarsi con percorsi specifici, come terapia logopedistica e psicologica, oltre che farmacologica, per far sì che il bambino prima, e l’adolescente e l’adulto poi, diano il meglio di sé con gli strumenti che possiedono. «La diagnosi, per quanto tardiva – riflette Claudio – mi ha permesso di ricostruire e rielaborare tutto il mio percorso, riuscendo a rispondere a tutta una serie di domande fino ad allora rimaste insolute. Nonostante in Italia un neonato su 300 sviluppi la FAS, e uno su cento la FASD, le capacità diagnostiche sono ancora limitate, purtroppo. Avere una diagnosi precoce, permette di offrire alla famiglia una chiave di lettura riguardo ai comportamenti e le difficoltà dei figli, e di sviluppare strategie educative compensative. Per questo è fondamentale implementare la conoscenza nei confronti di questi disturbi, cosa che la nostra associazione AIDEFAD, nata nel 2018 a seguito del mio lungo percorso, cerca di fare quotidianamente. Supportiamo le famiglie, tenendoci ben lontani dallo stigma legato al senso di colpa di aver abusato, o anche solo di aver consumato, alcol in gravidanza».

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ZERO ALCOL, ZERO FASD

Al giorno d’oggi si ignora perché alcuni bambini sviluppino disturbi da esposizione prenatale all’alcol in modo più evidente e in forme clinicamente più gravi di altri, o perché alcuni non li sviluppino per nulla. Inoltre, non esiste una dose sicura di alcol per cui si può essere certi che il bambino non corra alcun rischio. Evitare completamente l’assunzione di alcol in gravidanza resta l'unica certezza per prevenire la FASD, tutelando la salute di mamme e bambini.

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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