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I nostri ricercatori
Alessandro Vitale
pubblicato il 25-11-2019

Il legame tra il tumore della prostata e il microambiente



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Le cellule di carcinoma prostatico possono interagire con quelle adiacenti per favorire la formazione di metastasi: la ricerca di Arianna Bellazzo

Il legame tra il tumore della prostata e il microambiente

Il microambiente tumorale rappresenta l’intero ecosistema nel quale si trova il tumore e comprende cellule e tessuti adiacenti la massa cancerosa: come i vasi sanguigni, le cellule immunitarie e altre molecole di segnalazione. Si tratta di un ambiente molto dinamico e in rapido mutamento che si influenza reciprocamente con il tumore, orientando la velocità e le modalità in cui il cancro si diffonde.

Studi recenti sul tumore della prostata hanno mostrato come alcune proteine possano giocare un ruolo chiave nella progressione neoplastica sia sulle cellule cancerose sia su quelle adiacenti al tumore stesso (fibroblasti e cellule endoteliali). Queste ultime, in particolare, giocano un ruolo chiave nella progressione tumorale, poiché la loro stimolazione favorisce la migrazione e può contribuire nel dare origine a metastasi.

Su questi aspetti si concentra la ricerca di Arianna Bellazzo, biotecnologa dell’Università degli Studi di Trieste, grazie al sostegno di una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto SAM-Salute al Maschile.

 

Arianna, raccontaci qualcosa di più sul tuo progetto.

«Il centro del mio lavoro è una proteina denominata DAB2IP. Si tratta di un gene oncosoppressore, cioè di un fattore importante per bloccare la crescita, la capacità invasiva e l’aggressività delle cellule tumorali. Questa proteina risulta spesso inibita e poco funzionante nelle cellule cancerose, come nel caso del tumore della prostata. Studi recenti hanno mostrato che il carcinoma prostatico può bloccare l’attività di questa proteina anche nelle cellule non-tumorali del microambiente, modificandone la funzione e creando un ambiente favorevole alla crescita del tumore».

 

In che modo vengono influenzate le cellule sane?

«Ipotizziamo che la perdita dell’attività di DAB2IP permetta alle cellule del microambiente di migrare e di moltiplicarsi più velocemente. Pensiamo inoltre che la perdita di DAB2IP faciliti il rimodellamento del microambiente alterando la funzione di cellule endoteliali e dei fibroblasti, favorendo il processo di formazione di nuovi vasi sanguigni e consentendo al tumore di crescere e diffondersi. In generale, l’obiettivo del progetto sarà quello di identificare e analizzare i molecolari coinvolti».

 

Avete già qualche ipotesi su come venga regolato questo processo?

«Nel nostro ultimo studio abbiamo identificato un meccanismo interessante. Le cellule cancerose possono produrre e rilasciare nel microambiente un microRna chiamato mi-149-3p: si tratta di un filamento di Rna di piccole dimensioni, capace di contrastare la produzione di DAB2IP nelle cellule. Riteniamo che questo microRna possa essere incorporato dalle cellule endoteliali che circondano il tumore, riducendo i livelli di DAB2IP e favorendo la neoangiogenesi».

 

A lungo termine, quali sono le ricadute del vostro lavoro per la salute umana?

«L’identificazione dei meccanismi molecolari attraverso i quali le cellule del tumore prostatico riprogrammano il microambiente potrebbe costituire un punto di intervento terapeutico, colpendo la cooperazione tra il tumore e il suo microambiente. Dopo aver identificato questi meccanismi, potremmo sviluppare strategie farmacologiche specifiche per contrastare la crescita del tumore e la sua diffusione nell’organismo».

 

Arianna, parlaci di te. Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«Fin da piccola tutto ciò che riguardava la scienza, dall’astronomia alla fisica, dalla chimica alla medicina, mi ha sempre affascinato molto. Il mio insegnante di biologia al liceo scientifico ha contribuito ad aumentare la mia passione per queste materie. Intraprendere la carriera universitaria nell’ambito delle biotecnologie è stata una scelta naturale, favorita dal continuo sostegno offerto dai miei genitori».

 

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

«L’opportunità di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo, il continuo confronto con i colleghi e la possibilità di trasmettere conoscenze ai giovani studenti, vedendo in loro la passione che cresce».

 

Raccontaci un momento da ricordare e uno da dimenticare della tua vita da ricercatrice.

«Uno dei momenti più belli è stato quando ho vinto la borsa di studio finanziata da Fondazione Umberto Veronesi. Nei tre anni precedenti il mio lavoro era stato finanziato un’altra fondazione e sapere che anche Fondazione Umberto Veronesi ha scelto di sostenere questo progetto mi riempie di orgoglio. Momenti negativi ce ne sono stati diversi, ma nessuno da dimenticare perché tutti importanti per la mia crescita».

 

Sei mai stata all’estero per lavoro?

«Ho scelto di non andare all’estero per non allontanarmi dalla mia famiglia. Si è trattato di una decisione veramente difficile, perché sono consapevole che questa esperienza potrebbe largamente favorire il mio percorso professionale e personale. Tuttavia, i miei famigliari costituiscono un importante supporto e la loro presenza mi motiva e mi dà forza: un allontanamento sarebbe duro e non mi permetterebbe di lavorare nelle migliori condizioni».

 

Hai una figura di riferimento nella tua vita?

«Mia madre mi ha ispirato molto. Da lei ho imparato a non arrendermi mai, a lavorare sodo per raggiungere i miei sogni e ad affrontare con convinzione le difficoltà».

 

Chi è Arianna al di fuori del laboratorio?

«Nel tempo libero amo leggere e cucinare. Leggere mi permette di evadere dalla realtà e questo mi ricarica. Tra i miei preferiti c’è "Il Piccolo Principe" di Antoine De Saint-Exupery. Pur raccontando una storia semplice, questo libro rappresenta per me l’invito a non perdere il proprio animo di bambino, a impegnarsi nel realizzare i propri obbiettivi e soprattutto a guardare la realtà con il cuore. In cucina invece sperimento: mi piace preparare dolci».

 

Hai famiglia?

«Da pochi mesi sono felicemente sposata. Io e mio marito speriamo in futuro di avere dei bambini».

 

Se un giorno tuo figlio ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti e cosa gli diresti?

«Ne sarei felice. Lo avvertirei delle difficoltà correlate a questo tipo di lavoro, come il precariato e i sacrifici necessari per svolgerlo, ma lo supporterei, come i miei genitori hanno fatto con me».

 

Descriviti con tre pregi e tre difetti.

«Sono determinata, perseverante, altruista. Ma anche timida, ostinata ed emotiva».

 

C’è una cosa che vorresti assolutamente vedere, almeno una volta nella vita?

«Mi piacerebbe molto visitare il nord dell’Europa, magari fare una crociera tra i fiordi norvegesi».


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