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I nostri ricercatori
Emanuela Pasi
pubblicato il 08-05-2025

Tumore ovarico: una proteina per contrastare la cachessia



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Sviluppare una terapia a base di musclin per combattere la perdita di massa muscolare nel tumore dell’ovaio. La ricerca di Andrea David Re Cecconi

Tumore ovarico: una proteina per contrastare la cachessia

La cachessia è una delle complicazioni più gravi e trascurate del tumore ovarico: provoca un progressivo indebolimento del corpo, una perdita di massa muscolare e, troppo spesso, una profonda compromissione della qualità della vita. In questo contesto, la ricerca scientifica apre una nuova strada grazie a una proteina prodotta dai muscoli durante l’attività fisica: la musclin.

All’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano, il ricercatore Andrea David Re Cecconi, infatti, lavora per trasformare questa proteina in un trattamento capace di proteggere i muscoli anche quando il corpo non riesce più a muoversi. Il progetto è finanziato da Fondazione Veronesi e guarda al futuro della medicina personalizzata per diversi tipi di tumore.

 

Davide, partiamo da qui: cos’è per te la cachessia?
È una condizione debilitante che porta via autonomia e ancora oggi non esistono terapie efficaci. Proprio per questo il nostro obiettivo è chiaro: dare una possibilità concreta alle pazienti che soffrono del tumore ovarico.

Come vi è venuta l’idea di studiare la proteina musclin?

Musclin è una proteina che i muscoli rilasciano durante l’attività aerobica. Nei nostri studi preliminari sui topi, ha mostrato di proteggere dalla perdita di massa muscolare indotta dal cancro. Tuttavia, fino ad oggi nessuno aveva mai studiato il ruolo di musclin nei tumori femminili, come il cancro ovarico. Con questo studio, non solo vogliamo colmare questa lacuna, ma puntiamo anche a sviluppare un derivato di musclin, con l’obiettivo di creare una terapia per contrastare la cachessia in pazienti oncologici.

Come intendete portare avanti il vostro progetto durante quest’anno?

Il nostro progetto si svilupperà in diverse fasi chiave. In primo luogo, misureremo i livelli di musclin nei muscoli già raccolti dai modelli sperimentali di tumore ovarico con atrofia, per confermare il suo ruolo nella perdita muscolare. Successivamente, svilupperemo un derivato di musclin ma con maggiore stabilità. Infine, testeremo questo derivato su cellule muscolari atrofiche, esposte a stimoli che mimano le condizioni del tumore ovarico in vivo, per valutarne il potenziale effetto protettivo contro l’atrofia muscolare.

Quali prospettive ti immagini per questo studio? A lungo termine, questo approccio terapeutico, basato su musclin, potrebbe essere esteso anche ad altri tipi di cancro caratterizzati da cachessia, migliorando la qualità di vita e la sopravvivenza dei pazienti oncologici.

Non sei mai stato all’estero, perché?

Non ci sono mai stato, perché sono sempre stato molto legato alla famiglia, e ho idea da tempo di costruirmi una famiglia qui in Italia. Oggi penso che forse sarei dovuto andare durante il dottorato, quindi, prima dei 30 anni. Dopo diventa un po’più difficile perché non si vuole abbandonare gli affetti. Quello che consiglio ai giovani è di andarci subito dopo la laurea, quando si è più spensierati.

A livello personale: come hai capito che la tua strada era la ricerca?

Ho scelto di fare ricerca perché mi ha sempre affascinato il mondo della medicina, mi hanno sempre affascinato le sfide e le cose difficili. Inizialmente volevo fare medicina e ho fatto il test però non l’ho passato per mezzo punto. Quindi, mi sono iscritto a Biologia e mi è piaciuta talmente tanto che ci sono rimasto e ancora oggi continuo a fare ricerca! Se mi immagino tra 10 anni mi vedo sempre nel mondo della ricerca, perché la cosa importante è poter dare il mio contributo alla scienza.

Che senso ha fare scienza per te?

Il senso profondo, seppur scontato, è quello di dare speranza e cura a tante malattie che oggi sono senza.

Se dico “ricerca in Italia”, tu cosa rispondi?

Rispondo che è una sfida quotidiana. Bellissima, ma durissima. A volte più contro il sistema che contro i problemi scientifici. La comunità scientifica andrebbe aiutata con più fondi, a volte si perde tanto tempo a scrivere progetti e a chiedere fondi e questi a volte non arrivano. Se ci fosse per tutti una base di finanziamenti, credo che si avrebbero più risultati perché si dedicherebbe più tempo al lavoro in laboratorio, dove vengono le idee migliori. Per questo motivo, mi piacerebbe incontrare il presidente del Consiglio e raccontarle veramente cosa vuol dire lavorare nella ricerca e quali sono gli impedimenti.

Cosa fai nel tempo libero?

Amo cucinare e anche se arrivo a casa alle 8 di sera dopo il lavoro mi metto ai fornelli. Un’altra mia passione è viaggiare e vorrei fare un viaggio in Lapponia d’inverno e uno al caldo in Polinesia Francese.

Hai una compagna, una vita piena. Se un giorno vostro figlio ti dicesse “papà voglio fare il ricercatore”, cosa gli diresti?

Gli direi che è una strada dura, ma se è quella giusta, vale la pena percorrerla. Lo appoggerei senza esitazione.

Cosa ti fa arrabbiare di più e cosa ti commuove?

Le guerre. La povertà. E, a livello personale, la precarietà nella mia professione. L’ultima volta che mi sono commosso è stato per la morte di una persona cara.

Un ricordo a te caro di quando eri bambino?

L’estate al mare con i nonni.

Perché è importante donare a sostegno della ricerca scientifica?

È importante donare perché ne abbiamo bisogno, perché la ricerca è l’unica speranza per curare malattie ad oggi incurabili.

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

Semplicemente grazie, perché grazie al loro sostegno noi possiamo andare avanti a fare il nostro lavoro.


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