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Daniele Banfi
pubblicato il 14-05-2020

Covid-19: il ruolo di plasma, anticorpi monoclonali e vaccini



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Il primo viene usato in emergenza. I secondi potrebbero diventare sia cura sia profilassi. I terzi bloccheranno la circolazione del virus. Ecco le strade che la ricerca sta percorrendo per affrontare il coronavirus

Covid-19: il ruolo di plasma, anticorpi monoclonali e vaccini

Per curare Covid-19 e eliminare il virus la partita si gioca con gli anticorpi. Sono loro i veri protagonisti della lotta al coronavirus. Tutto passa dal sistema immunitario. Attenzione però a fare confusione. Le strategie non sono tutte uguali. Se il plasma iperimmune può servire in emergenza per trattare le persone con le forme più gravi di Covid-19, l'utilizzo degli anticorpi monoclonali -copie prodotte illimitatamente in laboratorio partendo dalle cellule dei pazienti- potrà servirci sia per trattare le nuove infezioni sia come profilassi per evitare che ci si ammali. Ciliegina sulla torta, il vaccino: se potremo disporne di uno efficace, il Sars-Cov-2 sarà completamente sotto stretto controllo.

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Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare di plasma iperimmune. Il principio su cui si fonda questa terapia è semplice: nel sangue delle persone guarite sono presenti anticorpi utili a combattere il virus. Prelevati (sotto forma di plasma) e iniettati in un malato potrebbero aiutare quest'ultimo a superare Covid-19. L'utilizzo del plasma a scopo terapeutico non è affatto una novità. Anche per Covid-19 sono in fase di sperimentazione diversi studi e i risultati, seppur ancora preliminari, sembrano fare ben sperare. Non è però tutt'oro quello che luccica: solo circa il 30% dei potenziali donatori risulta idoneo (impossibile quando si ha una scarsa quantità di anticorpi e malattie concomitanti). Ma c'è di più: per avere un plasma iperimmune occorre avere malati. Prima dunque di avere una sacca di plasma occorre che le persone si ammalino. Ecco perché il plasma iperimmune dei pazienti è considerato una potenziale terapia di emergenza.

ANTICORPI MONOCLONALI: COPIARE LA NATURA "MIGLIORANDOLA"

Proprio per i limiti appena descritti, una possibile soluzione al problema Covid-19 è rappresentato dall'utilizzo degli anticorpi monoclonali. Il principio è lo stesso del plasma iperimmune. C'è un però: in questo caso si andrebbero ad iniettare solo gli anticorpi necessari e in quantità elevate. Niente problemi di approvvigionamento dunque. A questo progetto sta lavorando il laboratorio vAMRes (vaccines as a remedy against Anti-Microbial Resistance) guidato da Rino Rappuoli presso la Fondazione Toscana Life Sciences con l'Ospedale Spallanzani. Gli scienziati italiani, analizzando il plasma delle persone guarite, hanno identificato già 17 tipologie di anticorpi monoclonali umani in grado di neutralizzare il virus. Anticorpi che possono essere riprodotti in laboratorio in quantità illimitata e per un numero infinito di volte in modo tale da avere un concentrato delle migliori armi per colpire il virus.

Una volta ottenuti -e dimostrata l'efficacia- questi anticorpi potranno essere somministrati a tutte le persone che sono risultate positive al test in modo da fermare l’infezione in corso. Inoltre saranno utili da somministrare come profilassi alle persone in prima linea che sono ad alto rischio di infezione. Un approccio dall'effetto immediato. In questo caso l'iniezione dovrà essere ripetuta ciclicamente -circa ogni 3 mesi- poiché la quantità di anticorpi diminuirà con il tempo. Un approccio che nulla ha a che vedere con la vaccinazione. Quest'ultima infatti provvede ad istruire il sistema immunitario a produrre gli anticorpi autonomamente e al bisogno. Nel caso degli anticorpi monoclonali invece non vi è alcun coinvolgimento della memoria del sistema immunitario. Una volta scemati con il tempo dovranno essere iniettati nuovamente. Secondo Rappuoli i primi anticorpi di questo genere potranno essere pronti tra 8-9 mesi.

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Per risolvere invece alla radice il problema Covid-19 la soluzione è rappresentata dal vaccino. Se gli anticorpi monoclonali hanno effetto immediato ma devono essere ciclicamente somministrati (nel caso della profilassi), con il vaccino la speranza è quella di immunizzare definitivamente la persona, ovvero fargli produrre cellule della memoria immunologica in grado di produrre anticorpi tutte le volte che entra in contatto con il virus. Ad oggi sono oltre 170 i vaccini in fase di sviluppo e 7 già in fase di sperimentazione clinica nell'uomo. Vaccini che se si dimostreranno efficaci potrebbero essere pronti in 12-18 mesi. Tutti gli approcci utilizzati sino ad oggi contro Covid-19 rappresentano tante piccole tessere di un mosaico chiamato cura. Terapie definitive, ad oggi, non ne abbiamo ma più passa il tempo e più la ricerca ci indica la strada per affrontare il virus. Plasma iperimmune e anticorpi monoclonali insegnano.

 

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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