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Redazione
pubblicato il 19-05-2014

Quando togliere un nodulo alla tiroide?


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La decisione di intervenire chirurgicamente su un nodulo della tiroide deve tenere conto sia della sua natura sia delle sue possibili implicazioni funzionali.

Quando togliere un nodulo alla tiroide?

Come posso sapere se è necessario togliere un nodulo della tiroide?

Erminia C, Ravello

Risponde Nicoletta Tradati, Divisione di Chirurgia Cervico-Facciale, Istituto Europeo di Oncologia, Milano

 

Per procedere a una corretta diagnosi di benignità o malignità del nodulo, occorre innanzitutto eseguire alcuni esami specifici: una ecografia della ghiandola che consente di definire le dimensioni della lesione e la sua struttura e il dosaggio, tramite un prelievo del sangue, degli ormoni TSH, FT3, FT4 essenziali per stabilire il funzionamento della tiroide, oltre ad alcuni marcatori come tireoglobulina e calcitonina, questi ultimi utili a fini diagnostici.

Solo in caso di dubbi sulla natura del nodulo si dovrà procedere ad un agoaspirato sotto guida ecografica, un esame ambulatoriale normalmente indolore e privo di complicanze, che permette, pungendo il nodulo, di aspirare alcune cellule della lesione, esaminarle e valutarne con accuratezza le caratteristiche.

Se tutti gli esami indicano che il nodulo è benigno e le sue dimensioni non provocano disturbi meccanici alla deglutizione o non creano una sensazione né di nodo alla gola né di leggero soffocamento, non vi è indicazione all’asportazione ma solo a controlli sia ormonali sia ecografici più ravvicinati.

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Si procederà in questa direzione, invece, se il nodulo supera i tre centimetri di diametro o se, pur mantenendosi sotto queste dimensioni, la sua posizione infelice o una eventuale crescita nella parte inferiore della ghiandola (che si estenderà dunque dietro lo sterno) provoca fastidi di respirazione e deglutizione o di oppressione alla base del collo.

Non vi sono dubbi sulla rimozione del nodulo quando la natura di esso si rivela maligna.

Stabilita la necessità dell’intervento occorrerà poi valutare se procedere all’asportazione totale della ghiandola (tiroidectomia) o solo di una parte del tessuto ghiandolare (emitiroidectomia). In ambito oncologico, non è infatti corretto asportare soltanto il nodulo.

In alcuni casi, accuratamente selezionati, l’intervento può avvenire con tecnica endoscopica che presenta diversi vantaggi: una cicatrice corta e sottile (più piccola rispetto alla tecnica tradizionale a cielo aperto), un decorso post-operatorio quasi del tutto indolore e una dimissione rapida.

Il tipo di intervento attuato determinerà anche la necessità di una terapia: se viene asportata solo metà ghiandola vi sono buone probabilità che la restante riesca a riprendere la sua normale funzionalità senza l’ausilio di una terapia sostitutiva.

Se la ghiandola è rimossa integralmente, occorre sopperire con l’assunzione a vita di una compressa al giorno di levotiroxina, l’ormone fondamentale per regolare il metabolismo che, se accuratamente dosata, non dà effetti collaterali. Dopo l’intervento e per il futuro, la raccomandazione è di osservare rigorosamente i controlli clinici, ecografici e ormonali programmati con l’endocrinologo. 

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