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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 10-02-2022

Alzheimer: si studia anche il sildenafil (Viagra)


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A caccia di cure o misure preventive per l'Alzheimer, si studiano i nessi con l'uso di vecchi farmaci, compreso il sildenafil (Viagra) o la metformina

Alzheimer: si studia anche il sildenafil (Viagra)

Il Viagra per contrastare l’Alzheimer? L’accostamento potrebbe apparire incongruo, un farmaco autorizzato per i problemi maschili dell’erezione contro una terribile malattia che cancella la memoria e, alla fine, la persona. A proporlo sono i ricercatori della Cleveland Clinic, centro medico non profit dell’Ohio (Usa), che hanno pubblicato i risultati di una ricerca sulla rivista Nature Aging. Stessa relazione viene suggerita per il Revatio, farmaco per l’ipertensione polmonare che, come la famosa “pastiglia blu”, è a base di sildenafil. Sotto la guida del professor Feixiong Cheng, dell’Istituto di medicina genomica della Cleveland Clinic, i ricercatori sono partiti da una platea molto ampia, di 7 milioni di pazienti, e sono arrivati a rilevare una riduzione del 69 per cento del rischio di Alzheimer tra quanti erano in cura con il sildenafil. Dati interessanti, che però non dimostrano un nesso causa effetto e che sono da approfondire, ricordando che al momento non ci sono farmaci utili contro l'Alzheimer e che il sildenafil è un farmaco con effetti collaterali da tenere in considerazione.

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MEDICINA DI PRECISIONE E BIG DATA

La strada percorsa dagli studiosi dell’Ohio è quella del “riposizionamento” dei farmaci, o drug repurposing, vale a dire di rimettere alla prova farmaci già in uso per vedere se si trovano indicazioni, da sviluppare, per contrastare malattie diverse. Questo metodo, se ha successo, permette di accorciare i tempi e i costi legati allo sviluppo di una nuova molecola, poiché almeno gli studi tossicologici e di sicurezza sono già stati completati e approvati. «Il nostro studio rientra nella crescente area di ricerca della “medicina di precisione” dove i big data sono la chiave per trovare le connessioni tra i punti delle medicine esistenti e quelli delle malattie complesse come l’Alzheimer», ha spiegato un altro ricercatore, Jean Yuan.

 

PUNTARE AL DUO BETAMILOIDE E TAU

La coesistenza di proteine betamiloidi e tau crea nel cervello delle placche amiloidi e grovigli neurofibrillari, che sono i marcatori di questa demenza. Finora nessun farmaco approvato dalla Food and Drug Administration (Fda) e diretto contro le proteine tau o contro le amiloidi ha dato frutto. «Studi recenti mostrano che l’interazione fra tau e amiloidi è più efficace nel creare la demenza che uno solo dei due elementi», ha detto il dottor Cheng. Motivo per cui si sono diretti a cercare una sostanza mirata contro l’insieme dei due tipi di proteine. Su questa base, impiegando un’ampia rete di mappature genetiche, i ricercatori di Cleveland hanno individuato come più probabilmente “utile” il sildenafil tra tutti i 1.600 farmaci approvati dalla Fda. «Viagra e Revatio avevano tra l’altro dimostrato di promuovere significativi miglioramenti delle capacità cognitive e della memoria», ha aggiunto il dottor Cheng.

 

TUTTI I FARMACI SOTTO ESAME

Le persone sottoposte al confronto fra uso del sildenafil e l'avvento dell’Alzheimer sono state seguite per 6 anni. E i numeri emersi sono: 69 per cento meno di sviluppo della malattia in chi prendeva il Viagra/Revatio; il 55 per cento in meno in confronto all’uso del losartan, il 63 per cento in meno in confronto alla metformina, il 65 in confronto al diltiazem e il 64 per cento in confronto al glimepiride. Ci tiene a precisare il dottor Feixiong Cheng: «Col nostro studio abbiamo constatato soltanto l’associazione tra l’uso del sildenafil e la ridotta incidenza dell’Alzheimer. Ora intraprenderemo studi clinici per verificare se c'è una causalità tra i due fenomeni. Il nostro approccio ci sembra si presti ad altre malattie neurodegenerative tipo il Parkinson e la sclerosi amiotrofica laterale (sla)».

 

DALLO STESSO METODO FALSE SPERANZE

Non condivide l’ottimismo degli studiosi statunitensi il professor Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di neuroscienze all’Irccs San Raffaele di Roma: «E’ una ricerca epidemiologica. Si sono presi tanti soggetti, qui 7 milioni, e si è controllato se l’incidenza dell’Alzheimer è minore rispetto alla popolazione generale. E’ un approccio interessante, ma non porta a nulla. Si è già visto: negli anni Novanta si era appurato che le donne che prendevano la pillola si ammalavano di meno di demenza. Poi è stata la volta del cortisone e degli antinfiammatori non steroidei, presi per altri problemi: anche qui pareva si ammalassero di meno di Alzheimer. Ma questi risultati non sono stati confermati».

 

AFFIDABILE SOLO IL TRIAL CLINICO COL PLACEBO

Il metodo deve essere diverso, continua il professor Rossini: «Occorre fare un trial clinico con 100 persone cui somministro il farmaco e altrettante cui do il placebo, poi i due gruppi vanno seguiti per anni. Allora sì, ho dimostrazioni valide. Aspettiamo dunque che si facciano questi trial clinici che lo studio suggerisce. Per ora purtroppo per i nostri malati non c’è nulla di nuovo».

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Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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