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Neuroscienze
Fabio Di Todaro
pubblicato il 10-08-2015

Gli zuccheri semplici possono provocare la depressione?



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Una ricerca punta il dito sugli alimenti ad alto indice glicemico. Il dato, ancora tutto da verificare, riguarda le donne in menopausa

Gli zuccheri semplici possono provocare la depressione?

Per anni sono stati considerati una “medicina” per le persone depresse, che per alleviare i sintomi della malattia erano (e sono) soliti rifugiarsi negli alimenti dolci, in grado di favorire la sintesi e il rilascio di serotonina nel cervello.

Ma il consumo di cibi ad alto indice glicemico, in realtà, potrebbe in realtà facilitare l’insorgenza della depressione. Il ruolo della dieta, dunque, potrebbe non essere trascurabile.

 

Quali legami tra depressione e infiammazione?

 

EVIDENZE SULLE DONNE IN MENOPAUSA

L’ipotesi arriva da uno studio prospettico pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition, coordinato dalla Columbia University di New York. Coinvolte poco meno di settantamila donne statunitensi in menopausa, di età compresa tra 50 e 79 anni, di cui sono stati rilevati per almeno tre anni i consumi alimentari e la comparsa di sintomi depressivi.

È così emerso che il crescente consumo di alimenti ad alto indice glicemico - un valore che indica la velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all'assunzione di un quantitativo di un qualsiasi alimento contenente 50 grammi di carboidrati - risulta correlato a un aumentato rischio di sviluppare la depressione. Opposto, invece, l’effetto generato da alimenti a basso indice glicemico: come il latte e i derivati, la frutta, la verdura e i cereali integrali.

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità chiede una stretta sugli zuccheri aggiunti

 

FARI PUNTATI SUGLI ZUCCHERI AGGIUNTI

Si tratta del primo riscontro simile, visto che l’unico studio di questo tipo, pubblicato nel 2008 su The Journal of Affective Disorders, fu condotto su un gruppo di donne giapponesi in gravidanza, al fine di rilevare eventuali oscillazioni nell’incidenza della depressione post-partum.

Nessuna relazione tra il consumo di alimenti particolarmente zuccherini e la malattia era emerso in quel caso, anche se occorre tenere conto delle differenze esistenti tra la dieta di un popolo orientale e quella seguita negli States.

Questa ricerca, invece, porta a galla una nuova ipotesi. I sospetti sono rivolti sugli zuccheri aggiunti, già nel mirino della comunità scientifica in quanto ritenuti responsabili dell’aumento dei casi di carie, sovrappeso e obesità. Oltre che, in maniera consequenziale, del diabete di tipo II, delle malattie cardiovascolari e di alcune tipologie di cancro. Secondo James Gangwish, ricercatore nella divisione di farmacologia sperimentale del dipartimento di psichiatria della Columbia University e prima firma della pubblicazione, «la causa di questa evidenza potrebbe essere ricondotta all’aumento dell’infiammazione, coinvolta nei processi alla base della depressione e provocata dall’elevato consumo di zuccheri aggiunti».

 

UNO SPUNTO PER LA PREVENZIONE?

I primi a essere cauti sulle conclusioni sono stati gli stessi autori della ricerca. Diversi i punti critici sollevati: dal target delle donne in menopausa, che non permette di estendere i risultati alla popolazione generale, all’utilizzo di un diario (e non di misurazioni dirette dei cibi consumati o dei relativi marker) per registrare i consumi alimentari delle donne osservate.

Motivo per cui «serviranno ulteriori riscontri da parte della comunità scientifica, utili anche a verificare se una dieta ricca in legumi, cereali integrali, frutta e verdura possa essere utile per la prevenzione e il trattamento primario della depressione nelle donne in menopausa».

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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