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Neuroscienze
Caterina Fazion
pubblicato il 20-04-2022

Meningite: un esame del sangue per prevedere l'andamento dell'infezione


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meningite

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Studio italiano evidenzia la correlazione un biomarcatore della coagulazione e l'aumentato rischio di esiti negativi della malattia. Prevenzione e tempestività nell’inizio della terapia restano le armi migliori

Meningite: un esame del sangue per prevedere l'andamento dell'infezione

Con un semplice esame del sangue si può capire se una persona colpita da meningite batterica sia a rischio di complicazioni o, addirittura, di morte. E' quanto emerge da uno studio italiano pubblicato sulla rivista Frontiers in Medicine, che aiuta a fornire maggiori dettagli su una patologia che, per quanto limitata, resta pericolosa. Si tratta, infatti, di una malattia grave caratterizzata dall’infiammazione delle meningi, membrane di rivestimento del cervello e del midollo spinale. 

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LO STUDIO

Lo studio evidenzia il D-dimero, prodotto di degradazione della proteina fibrina, responsabile della formazione di coaguli, come biomarcatore per la previsione precoce degli esiti clinici in pazienti con meningite causata dal batterio Neisseria meningitidis. Il test del D-Dimero è un semplice esame del sangue che controlla o monitora i problemi di coagulazione. Nei 270 pazienti ricoverati presso l’ospedale Cotugno di Napoli per meningite e infezioni del flusso sanguigno dovute a Streptococcus pneumoniae o Neisseria meningitidis, il D-dimero è stato valutato entro 24 ore. Dalle analisi dei dati, il biomarcatore della coagulazione ha mostrato un effetto solo nel sottogruppo di pazienti infettati da Neisseria meningitidis: il D-dimero <500 ng/mL esclude quasi del tutto ulteriori complicazioni e rischio di morte, mentre livelli superiori ai 7.000 ng/mL sembrano in grado di predire un rischio significativamente aumentato di gravi complicazioni. Si passa da una mortalità inferiore al 10% a oltre il 25%. Secondo lo studio, il D-dimero, rapido da ottenere, a basso costo e disponibile ovunque, può aiutare a stratificare il rischio di complicazioni e mortalità in ospedale nei pazienti con infezioni invasive dovute a Neisseria meningitidis.

L’ITER TERAPEUTICO NON CAMBIA

«Il dosaggio del D-dimero – spiega il professor Roberto Cauda, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive del Policlinico Gemelli di Roma – viene utilizzato nella pratica clinica corrente quando c'è un caso di meningite o di sepsi. Oltre a una localizzazione meningea, infatti, sia lo Pneumococco, sia la Neisseria meningitidis possono determinare una possibile setticemia. Elevate dosi di D-dimero potrebbero essere correlate a un aumentato rischio di gravità della malattia e dunque di mortalità. Questo biomarcatore ha sicuramente valore prognostico che, tuttavia, non influenza le modalità di intervento: occorre iniziare la terapia più appropriata il prima possibile. Riconoscere la meningite in maniera precoce, dunque, rappresenta un elemento di importanza fondamentale».

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La vaccinazione come strumento di prevenzione. Un esempio: la meningite

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MENINGITE VIRALE

Generalmente la meningite di origine infettiva è causata da virus o batteri. Le forme più frequenti e meno gravi sono tipicamente quelle virali, che colpiscono soprattutto i giovani. Sono autolimitanti e benigne, durano dai 7 ai 10 giorni ed evolvono favorevolmente con il solo ausilio di terapie di supporto come farmaci antifebbrili. Non esistono terapie specifiche antivirali, eccetto per le forme virali di encefaliti erpetiche, piuttosto rare. Spesso, virus responsabili di altre patologie come la parotite, possono portare a un risentimento meningeo che consiste, a tutti gli effetti, in una meningite vera e propria.

MENINGITE BATTERICA

Le meningiti a cui si fa comunemente riferimento sono quelle batteriche. Non sono così frequenti come le forme virali, ma ben più gravi, anche se, in questo caso, esiste una terapia antibiotica e c'è la possibilità di prevenirle con la vaccinazione. Le meningiti batteriche sono tre. Quella da Haemophilus influenzae B, che colpiva tipicamente i bambini, grazie alla vaccinazione è praticamente scomparsa. La meningite pneumococcica, invece, causata da Streptococcus pneumoniae, colpisce le fasce che dovrebbero essere tutelate maggiormente con un vaccino: giovanissimi e anziani. La meningite meningococcica, causata dal diplococco Neisseria meningitidis, interessa i giovani adulti di età compresa tra i 20 e i 40 anni, e qualche volta può causare un focolaio epidemico. L’ultimo, avvenuto in Toscana, si è verificato tra il 2015 e il 2016, provocato principalmente dal meningococco di sierogruppo C che, fortunatamente, si è esaurito senza portare a epidemia o emergenza sanitaria.

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SINTOMI

I sintomi, tipicamente più gravi e prominenti nelle forme batteriche, dal punto di vista qualitativo sono gli stessi. Il più caratteristico è rappresentato dalla rigidità della nuca (rigor nucalis) dovuta proprio all’infiammazione delle meningi. Il paziente, inoltre, presenta fotofobia e tende a sistemarsi su un fianco, con le gambe raggomitolate, posizione in cui i nervi e le strutture nervose risultano mene tese, alleviando il dolore (posizione a cane di fucile). Anche febbre elevata, mal di testa forte e vomito cerebrale, in assenza di nausea, sono sintomi molto comuni. Il malato tende a presentare uno stato di confusione, agitazione e delirio: più i sintomi di compromissione del Sistema Nervoso Centrale sono evidenti, più la malattia è grave. In età pediatrica ci sono sintomi peculiari quali ad esempio il turgore della fontanella, possibile segno di gonfiore cerebrale.

DIAGNOSI

A seguito della diagnosi clinica, si procede con la diagnosi di laboratorio. Il gold standard è rappresentato dalla puntura lombare grazie alla quale si preleva il liquor con un ago apposito. Il paziente viene posizionato in decubito laterale o seduto sul letto abbracciando un cuscino, in modo tale che l’ago possa passare negli spazi presenti tra un disco vertebrale e l'altro, riuscendo ad arrivare alle meningi e a far uscire il liquor di cui si considerano diverse caratteristiche. La prima è rappresentata dalla pressione, misurata con un manometro: nelle meningiti risulta sempre essere aumentata. Anche l’aspetto del liquor fornisce informazioni importanti: nelle meningiti batteriche è torbido, addirittura purulento a causa del disfacimento dei globuli bianchi. L'indagine chimica è importantissima: se c'è una riduzione del glucosio, un aumento delle proteine e un aumento dei granulociti, possiamo dire di essere in presenza di una meningite batterica. I batteri, infatti, per espletare le proprie funzioni usano il glucosio. Nelle meningiti virali, invece, generalmente il liquor è limpido, non purulento, i livelli di glucosio sono normali, mentre aumentano proteine e linfociti. A seguito della conferma di laboratorio, si inizia la terapia più idonea, nei tempi più rapidi possibili.

TERAPIA

«Le forme virali, salvo quelle rare da herpes – specifica il professor Cauda – non hanno terapia specifica. Si è discusso molto sull'uso dei cortisonici: in passato non si usavano, oggi si è visto che nelle meningiti pneumococciche, che colpiscono le età estreme della vita, fornire un breve ciclo di terapia steroidea all'inizio dell’infezione può migliorare la prognosi. Per le forme batteriche, oltre ad esistere terapie antibiotiche, sono disponibili vaccini utili a prevenire l’infezione».

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IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE

«Nonostante i casi di meningite batterica non siano molto numerosi, si tratta di qualche di centinaio di casi l'anno, la letalità è molto elevata: si attesta intorno al 10%, soprattutto in caso di ritardo diagnostico e terapeutico. Per questo motivo le vaccinazioni restano caldamente consigliate – conclude l’infettivologo Roberto Cauda –, considerando soprattutto le sequele che possono verificarsi, nonostante le terapie, come sordità o ritardo mentale. Per chi è stato a contatto con un soggetto con meningite meningococcica esiste la possibilità di fare una profilassi: basta una compressa dell’antibiotico ciprofloxacina o l’assunzione di rifampicina per alcuni giorni per mettere il soggetto al sicuro dal contagio».

Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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