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Neuroscienze
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 16-12-2022

Quando dormire male è una possibile spia di malattia neurologica



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Dormire bene è fondamentale per il recupero fisico e mentale. Alcuni disturbi del sonno possono infatti favorire lo sviluppo di alcune malattie neurologiche

Quando dormire male è una possibile spia di malattia neurologica

L'insonnia è una sorta di epidemia collettiva: colpsice circa il 30% della popolazione, con una prevalenza al femminile e in aumento dopo i 50 anni fino ad arrivare al 50%. Numeri importanti, come testimoniato al recente congresso della SIN, la Società Italiana di Neurologia. «Si tratta del disturbo del sonno più frequente e, al tempo stesso, un insieme di manifestazioni differenti con declinazioni molto sfumate -spiega il prof. Giuseppe Plazzi, Responsabile Centro del Sonno, IRCCS delle Scienze Neurologiche di Bologna-. Si va dalle difficoltà dell’addormentamento a quelle legate al mantenimento del sonno durante l’intera nottata, al risveglio precoce. In questo enorme contenitore si possono distinguere infatti situazioni di varia entità fino a quelle più impegnative che possono impattare in maniera significativa sulla vita quotidiana. Disturbi di memoria e di attenzione, palpitazioni, senso di stanchezza, sonnolenza sono alcuni sintomi con cui chi soffre di insonnia spesso convive».

I BENEFICI DEL SONNO

I benefici del sonno ristoratore sono ben noti. E molti sono gli studi scientifici che li mettono in rilievo. Dormire bene è indispensabile per il recupero fisico. Riduce il metabolismo del 10%, fa rallentare il battito del cuore e diminuire la pressione arteriosa. L’insonnia, al contrario, provoca un aumento del cortisolo, ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, che causa iperattività cardiaca e predispone alla depressione. Durante il sonno avviene inoltre un altro importante fenomeno e cioè il rilascio dell?ormone della crescita (GH) fondamentale per i bambini, ma importantissimo anche in età adulta. La carenza di GH nell?adulto è, infatti, correlata con perdita della libido e della massa muscolare, sterilità, calvizie, impotenza, depressione e scarso benessere psicofisico. Inoltre, durante il sonno l'organismo libera le citochine, sostanze che aiutano il sistema immunitario a far fronte alle malattie. Il sonno garantisce anche il buon funzionamento del cervello perché gli permette di fissare i concetti appresi durante il giorno e di ripulirsi dalle scorie prodotte dalle cellule cerebrali.

QUANDO I SOGNI DIVENTANO “TROPPO REALI”. IL SONNO REM E… I DISTURBI COGNITIVI

«Fondamentale è inoltre la regolarità del ritmo circadiano, ossia la corretta alternanza del ciclo sonno-veglia e quella del sonno REM (quella in cui gli occhi si muovono su e giù, a destra e a sinistra e si sogna, ndr) e NON REM (fase in cui si ha un maggior rilassamento muscolare, una diminuzione della temperatura corporea e dei battiti cardiaci, ndr) e, in particolare, si è scoperto che proprio durante la fase del sonno REM si può verificare un disturbo denominato RBD, acronimo inglese di Rem Behavior Disorder, ovvero disturbo comportamentale del sonno REM, che può essere predittivo di disturbi neurologici come la malattia di Parkinson o un tipo di demenza (quella a corpi di Lewi)» spiega Palazzi.

Il sonno REM è una fase del sonno caratterizzata da un’intensa attività onirica. Durante il sogno però i centri nervosi, che si occupano di trasmettere le informazioni del movimento, sono inibiti da neuroni localizzati a livello del tronco encefalico. Lo scopo è quello di permetterci di sognare di muoverci senza farlo realmente. Quando questa inibizione del movimento viene compromessa, ci si muove in maniera convulsa e talvolta violenta come se si fosse i protagonisti reali del sogno. «E’ un disturbo che generalmente si verifica tra i 55 e i 60 anni e che, come evidenziato da uno studio dell’International RBD Study Group (gruppo internazionale nato nel 2010 con l’obitettivo di promuovere la ricerca e la divulgazione scientifica) condotto dal prof. Dario Arnaldi dell’Università di Genova è spesso correlato al rischio (altissimo, intorno al 90%) di andare incontro al morbo di Parkinson o ad altre alfa-sinucleinopatie (alcune malattie neurodenerative a carico del sistema nervoso centrale) a distanza di due anni dalla diagnosi di RBD.

I risultati dello studio hanno quindi un’importante rilevanza clinica per lo studio e l’utilizzo di farmaci in fase prodromica, ossia prima del manifestarsi dei sintomi ma con certezza di malattia. Altri obiettivi sono quelli di comprendere meglio i meccanismi di malattie queste malattie neurologiche e di monitorare l’imatio dell’RBD sulla qualità di vita e del sonno» conclude l'esperto.

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Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


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