Solitudine: come incide sul rischio di ammalarsi di tumore
Una ricerca finlandese afferma che la vita solitaria costa ai maschi di età media un aumento del rischio di ammalarsi di cancro. Ma c’è anche chi dissente
La solitudine, soprattutto tra gli uomini, può aumentare il rischio di ammalarsi di cancro. E, in alcuni casi, aumentare la mortalità della malattia. È questo l’esito di una ricerca condotta in Finlandia e pubblicata sulla rivista Psychiatry Research, con un focus sugli uomini di mezza età. Siiri-Lisi Kraav, psichiatra dell’Università della Finlandia Orientale e prima firma dell’articolo, anticipa: «Si ritiene, sulla base di tanti studi compiuti in anni recenti, che la solitudine possa venir ritenuta un fattore di rischio per la salute come il fumo o il sovrappeso. E i nostri risultati vanno in questa direzione». L’indagine è stata lanciata negli anni ’80 del secolo scorso con l’arruolamento di 2.570 uomini di mezza età (42-61 anni) residenti nella Finlandia Orientale. Il loro stato di salute e la loro mortalità sono stati seguiti sulla base dei registri di dati fino ai giorni nostri.
COME SI AFFRONTA LA DEPRESSIONE NEGLI ANZIANI?
CHI È GIÀ MALATO RISCHIA DI PIÙ
Nel corso di questo periodo, 649 uomini (il 25 per cento dei partecipanti allo studio) hanno sviluppato il cancro e 283 (11 per cento) sono morti a causa della malattia. I ricercatori hanno calcolato che, a causa della solitudine, il rischio di avere un tumore potrebbe essere aumentato (+10 per cento). Questo dopo aver considerato anche altri potenziali fattori confondenti: quali l’età, le condizioni socio-economiche, lo stile di vita, la qualità del sonno, i sintomi depressivi, il peso e i disturbi cardiaci. In aggiunta, gli studiosi hanno constatato una più alta mortalità nei malati di cancro scapoli, vedovi o divorziati.«La consapevolezza degli effetti della solitudine sulla salute sta aumentando di continuo - affermano i medici finlandesi - per cui è importante esaminarla più in dettaglio, scoprire i meccanismi attraverso i quali la vita solitaria fa male alla salute. Capirlo, ci permetterebbe di mettere in campo misure di prevenzione e di sostegno».
Discordante con i risultati tratti dalla ricerca è LuigiGrassi, ordinario di psichiatria all'Università di Ferrara e presidente emerito della Società Internazionale di Psiconcologia. «L’articolo indica che il sentimento di solitudine, misurato attraverso una scala appropriata, determina un incremento del rischio di insorgenza di diverse forme di cancro (a esclusione del cancro del colon-retto e della prostata, ndr) in una arco di tempo di circa vent’anni anni. Nello specifico, i colleghi hanno posto l’accento sulle modalità con cui il sentimento di solitudine possa interferire con le relazioni interpersonali. E di conseguenza, attraverso dei possibili meccanismineurobiologici, essere un elemento da considerare come possibile fattore di rischio nell’insorgenza di un tumore. La ricerca è simile ad altre in cui una variabile psicologica, specificamente la condizione di depressione clinica, pure è stata considerata quale co-fattore nella incidenza di cancro e nella più elevata mortalità per cancro».
MA I SENTIMENTI CAMBIANO NEL TEMPO
Ci sono dei limiti da considerare, però. «Il problema di questo studio è che la variabile studiata è stata misurata in un tempo specifico - prosegue Grassi -. Ossia, all’inizio dello studio. Mentre i dati sulla incidenza della malattia sono stati raccolti vent’anni dopo. Quanto e come il sentimento di solitudine o di depressione sia variato nel corso del tempo - cosa in realtà possibile ed evidenziabile attraverso valutazioni seriali - non è dato sapere. Vi è il rischio, quindi, di generalizzare il senso delle variabili psicosociali collegate alle probabilità di sviluppare la malattia». Conclude lo psiconcologo: «Gli studi che hanno valutato serialmente le condizioni psichiche e di contesto interpersonale indicano di certo una prognosi peggiore (dunque una volta che il cancro si è manifestato, ndr) in chi presenta sintomi depressivi, inclusa la solitudine, a causa della nota incrementata vulnerabilità biologica allo stress che è favorita dallo scarso supporto sociale e dalla depressione stessa».
I consigli per gestire gli anziani con una demenza durante la pandemia
Mantenersi in attività Se non è possibile uscire in sicurezza, prevedere esercizio fisico indoor (stretching, cammino) e attività cognitivamente stimolanti come lettura, giochi di carte, lavoretti manuali
Farsi aiutare nella gestione di una persona con demenza Individuare anche con l’aiuto degli operatori sanitari quali situazioni scatenano la comparsa di sintomi come aggressività, ansia, irritabilità così da evitarle
Monitorare le possibili complicanze in caso di contagio Ricordare che il delirium può essere una delle prime manifestazioni di Covid-19 in pazienti anziani con demenza
Chiedere aiuto, se necessario Avere a portata di mano il numero di emergenza da chiamare in caso di emergenze psico-comportamentali che non si riescono a gestire da soli, come i gesti violenti o autolesionisti
Controllare la funzionalità cognitiva Sottoporre l’anziano a periodiche, semplici valutazioni della funzionalità cognitiva, eventualmente anche sfruttando test online indicati dal medico
Non trascurare la propria salute Monitorare parametri come pressione, frequenza cardiaca, temperatura, saturazione dell’ossigeno, glicemia. Tenere sotto stretto controllo la pressione può aiutare contro un aggravamento della demenza
Evitare l'isolamento Organizzare incontri virtuali con altri caregiver o gruppi per esercizi, attività ricreative e chiacchierate, ma anche sessioni di teleriabilitazione cognitiva e fisica con i terapisti
Proteggere gli anziani Fare estrema attenzione a limitare il pericolo di contagio, mantenendo il domicilio dell’anziano una "zona sicura": per esempio è bene lavarsi le mani e cambiare gli abiti rientrando, sanificare cellulari e borse, lasciare fuori le scarpe (tutti i consigli riportati sono a cura dell'Associazione per la Ricerca sulle Demenze ARD Onlus)
Confrontarsi costantemente con gli operatori sanitari Registrare gli episodi di comportamento di difficile gestione e discuterne con gli operatori sanitari di riferimento, così da ricevere consigli personalizzati per poterli affrontare al meglio
Chiamare un medico, se necessario Avere a disposizione un contatto facilmente raggiungibile (infermiere, medico di famiglia, geriatra) da poter consultare in caso di problemi psico-comportamentali