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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 03-07-2015

Radiazioni a basse dosi possono provocare la leucemia



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L’evidenza da uno studio condotto su oltre trecentomila persone. In Italia bassi i rischi per i lavoratori. Occorre razionalizzare l’impiego della diagnostica per immagine

Radiazioni a basse dosi possono provocare la leucemia

Le radiazioni ionizzanti emesse ad alte dosi sono considerate un cancerogeno fisico, in grado di aumentare la futura incidenza dei tumori, a partire dalle leucemie. Ma l’effetto può manifestarsi anche a basse dosi, se prolungate nel tempo.

 


RADIAZIONI E LEUCEMIE

La notizia trova conferma in uno studio condotto dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) e pubblicato su The Lancet Haematology. I ricercatori, guidati da Klervi Leraud dell’Istituto francese di Radioprotezione e Sicurezza Nucleare di Fontenay-aux-Roses, hanno valutato i tassi di esposizione per oltre un anno alle radiazioni ionizzanti di oltre trecentomila lavoratori (francesi, inglesi e statunitensi), osservati tra il 1943 e il 2005.

In seguito hanno incrociato questi dati con le statistiche della mortalità per tre forme tumorali specifiche: i linfomi, le leucemie e i mielomi. La correlazione diretta tra l’esposizione alle basi dosi di radiazioni ionizzanti e la malattia è emersa soltanto relativamente alla leucemia mieloide cronica. Non sono emersi dati significativi, invece, per leucemia linfocitica cronica, linfomi o mieloma multiplo.

I pazienti cardiopatici sono sottoposti a troppe radiazioni? 

 


QUANTO CONTA IL TEMPO DI ESPOSIZIONE 

L’evidenza non è una primizia - già nel 2007 sul New England Journal of Medicine si accennava ai rischi a lungo termine per la popolazione dovuti a un utilizzo eccessivo della Tac - ma conferma quanto a medici e ricercatori risulta noto da tempo: l’esposizione cronica alle radiazioni, seppur a basse dosi, aumenta il rischio di insorgenza di alcuni tumori del sangue, le leucemie in particolare. «Esiste un effetto cumulativo che rende il tempo di esposizione motivo di preoccupazione più dei dosaggi - racconta Alessandro Rambaldi, direttore del reparto di oncoematologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo -. Secondo i dati inseriti nella ricerca, quasi tutti i lavoratori esposti alle radiazioni rientrerebbero in un range di allarme. Ma nei loro confronti c’è la massima attenzione, con stime quantitative di esposizione mirate sul singolo dipendente».


Tumori del sangue: i tempi stanno cambiando

I LAVORATORI NON SONO A RISCHIO

«Fino a trent’anni fa categorie i radiologi risultavano più esposti rispetto ad altri a una diagnosi di leucemia, mentre oggi nei Paesi occidentali il rischio è lo stesso che corre la popolazione generale», dichiara Giorgina Specchia, ordinario di ematologia e direttore dell’unità di ematologia con trapianto dell’Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico di Bari. A proteggere i lavoratori è un limite di esposizione massima alle radiazioni: pari a venti millisievert all’anno, come indicato dallaCommissione Internazionale di Radioprotezione. I principi guida sono quelli della giustificazione e dell’ottimizzazione: il dipendente dev’essere esposto alle radiazioni soltanto se non se ne può fare a meno. Il problema riguarda da vicino i medici che operano nei reparti di radiologia, radioterapia, medicina nucleare e soprattutto radiologia e cardiologia interventistica.

Sotto controllo anche chi lavora nelle centrali nucleari (assenti in Italia) e nelle industrie che ricorrono alla sterilizzazione con i raggi gamma e beta. In tutti questi luoghi, però, i lavoratori sono tutelati da una figura esperta in radioprotezione e soggetti a più frequenti controlli da parte del medico del lavoro.

 

 

DIAGNOSTICA PER IMMAGINE 

Esami diagnostici come la Pet, la risonanza magnetica, la scintigrafia e la radiografia espongono il paziente a dosi (non più di dieci millisievert) di quasi mille volte inferiori rispetto a quelle per cui si ritiene che - in fase acuta - la mortalità sia nulla e i disturbi reversibili. Quando si ricorre all’irradiazione a scopo di cura, come nella terapia metabolica che si adotta contro alcune forme di ipertiroidismo e di carinoma della tiroide, le dosi sono più elevate, ma motivate dal quadro clinico. Ovvero: il lieve aumento di rischio risulta giustificato dai benefici apportati dal trattamento.

Ciò nonostante la Food and Drug Administration - l’ente regolatorio statunitense in materia di cibo e farmaci - ha di recente ribadito che «la tac, la fluoroscopia e le tecniche di medicina nucleare presentano sia vantaggi sia rischi. Per gestire questi ultimi occorre che ogni indagine risulti giustificata e ottimizzata nelle dosi di radiazione utilizzate durante la singola procedura». Parole che suonano come un monito per chi “abusa” di prescrizioni di esami diagnostici. Chiosa Specchia: «Anche se a volte può prevalere una condotta eccessivamente cautelativa nella richiesta di esami radiologici rispetto a dieci o quindici anni fa, è pur vero che il ricorso all’imaging rappresenta, ormai, un passaggio pressoché obbligato in medicina, per la molteplicità di informazioni, talvolta cruciali per il paziente, che possono derivarne». Nessun allarme: da medico o paziente tutte le difese necessarie contro le radiazioni sono già regolarmente messe in atto.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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