Chi l’ha detto che la ricerca scientifica in Italia non è competitiva a livello internazionale? Certo i problemi non mancano ma stando ai numeri presentati durante il congresso Asco (American Society of Clinical Oncology), il più importante meeting di oncologia clinica del mondo, l’Italia è uno dei paesi più all’avanguardia nella ricerca sul cancro. A dimostrarlo non sono solo i numeri ma anche i riconoscimenti ottenuti sul campo: quest’anno infatti, il premio “Conquer Cancer Foundation of ASCO Merit Award” è andato ad Andrea Necchi dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
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IL PREMIO
Al ricercatore italiano va il merito di aver dimostrato l'efficacia di una molecola (pazopanib) nel trattamento del cancro alla vescica. Lo studio rappresenta il classico esempio di medicina personalizzata ed è importante poiché allo stato attuale non esistono molte strategie terapeutiche per questa malattia. Il farmaco in questione è in grado di inibire la formazione dei vasi sanguigni che aiutano il tumore a crescere. I ricercatori si sono accorti che andando a valutare i livelli di una molecola prodotta dal sistema immunitario, l'interleuchina 8, era possibile predire l'efficacia del farmaco. Un'indicazione fondamentale per orientare al meglio le cure.
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I NUMERI
Entrando all’interno del palazzo che ospita il congresso Asco la prima impressione che si ha è quella di essere nel santuario della ricerca. Quest’anno ad assistere al convegno statunitense vi erano infatti più di 30 mila persone provenienti da ogni angolo della terra. Dei più di 5 mila studi presentati, l’Italia si è piazzata al quarto posto dopo Stati Uniti, Giappone e Francia. Un risultato importante che, sommato a quello che la vede quarta in classifica per impact factor in campo oncologico, ovvero la cartina tornasole della qualità delle ricerche prodotte, pone il nostro paese ai vertici nella ricerca contro il cancro.

ITALIANI ALL’ESTERO
Ma a dare lustro all’Italia non ci sono solo i ricercatori che operano strettamente all’interno del nostro paese. Gli italiani all’estero, spesso noti per essere “cervelli in fuga”, sono particolarmente ambiti da un paese come gli Stati Uniti. Uno di essi è Mauro Ferrari, responsabile della ricerca al Methodist Hospital Research Institute di Houston, uno dei centri di eccellenza nella ricerca nel campo della nanomedicina. Durante l’Asco lo scienziato italiano ha illustrato una nuova prospettiva di cura del cancro che si basa sull’utilizzo di nano-vettori in grado di veicolare il farmaco alle sole cellule tumorali. «I primi nanofarmaci - spiega Ferrari - risalgono a circa 20 anni fa, ma quelli che stiamo sperimentando sono farmaci con “nano-vettori” di ultima generazione: finora l'obiettivo era costruire vettori che trasportassero il farmaco solo alle cellule malate ed in quantità massiccia, dato che con la chemioterapia gran parte del farmaco si disperde prima di raggiungere la meta, e senza toccare le cellule sane al fine di evitare i forti effetti tossici. Ma per arrivare alle cellule 'bersaglio' il vettore deve superare indenne le tante barriere dell'organismo e del sistema immunitario. Da qui la nostra idea di costruire dei veri e propri “micro-missili multistadio”, con moduli che si sganciano nelle diverse fasi, superando un ostacolo per volta per arrivare, alla fine, alla cellula cancerosa». Al momento lo sviluppo di questa tecnologia sembrerebbe essere a buon punto. Come spiega Ferrari, «abbiamo verificato su topi di laboratorio che i nano-vettori trasportatori di farmaci arrivano ad eliminare le metastasi con un considerevole aumento della sopravvivenza». Un’ottima notizia in chiave terapeutica nella cura dei tumori nell’uomo.
