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Oncologia
Caterina Fazion
pubblicato il 30-06-2022

Popolazione transgender: serve più prevenzione



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Come stanno le persone transgender in Italia? Uno studio ISS rileva i punti critici (dagli screening al movimento) e indica la soluzione: l'inclusione

Popolazione transgender: serve più prevenzione

Per tutelare salute e benessere della popolazione transgender serve un’azione sanitaria mirata. In questa fascia di popolazione, infatti, vengono effettuati pochi screening oncologici, il tasso di depressione è fino a dieci volte più alto rispetto alla popolazione generale e l’attività fisica svolta risulta molto carente. A rivelarlo sono dati preliminari di uno studio recentemente concluso dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con centri clinici distribuiti su tutto il territorio nazionale, associazioni e collettivi transgender, i cui risultati definitivi verranno pubblicati nel prossimo autunno.

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TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

 

TRANSGENDER E LA PREVENZIONE A OSTACOLI

I dati preliminari per ora disponibili, rilevano una significativa difficoltà nell’accedere ai servizi sanitari, in particolare agli screening oncologici, con un 46% della popolazione transgender che riferisce di sentirsi discriminato. Soltanto il 20% delle persone assegnate femmina alla nascita esegue il pap-test, mentre soffre di depressione circa il 40% delle persone transgender, con picchi del 60% nella popolazione non binaria. Si tratta di quelle persone la cui identità di genere non si conforma alla concezione binaria (uomo/donna) del genere. Anche il livello di inattività fisica è molto alto: il 60% dei soggetti del campione analizzato riferisce di non svolgere attività fisica.

 

 

LONTANI DAGLI SCREENING? ECCO I MOTIVI

I motivi che spiegano la bassa aderenza agli screening preventivi sono molteplici. Innanzitutto, per le persone che hanno fatto il cambio anagrafico esistono delle difficoltà burocratiche. Chi è assegnato femmina alla nascita, una volta effettuato il cambio risulterà maschio e dunque può incontrare difficoltà a ricevere le consuete lettere di richiamo per effettuare gli screening per il carcinoma dell’utero, il noto pap-test o per il carcinoma del seno. Anche il minority stress, il cosiddetto stress delle minoranze escluse dalla società, gioca un ruolo importante nel ritardo e nella scarsa aderenza agli screening così come la transfobia che include pregiudizio, ostilità, persecuzioni, bullismo, esclusione, fino ad aggressione fisica e verbale.

 

IL RUOLO DEI MEDICI

Un ruolo importante per indirizzare le persone a una corretta prevenzione è svolto dai medici di medicina generale, non senza difficoltà. «La scarsità di conoscenze in tema di benessere e salute della popolazione transgender, così come l’uso di una terminologia inappropriata, per esempio uso non corretto del nome, da parte dei professionisti che operano in ambito sanitario – spiega la dottoressa Marina Pierdominici, responsabile scientifico dello studio sulla salute della popolazione transgender –, rappresentano le maggiori criticità riscontrate dalle persone transgender nell’accesso ai servizi sanitari. Come conseguenza, nelle persone transgender, c’è il rischio che prevalgano l’imbarazzo, la paura dello stigma e del pregiudizio». Lavorare con le persone transgender richiede specifiche competenze che i percorsi formativi non forniscono. Oggi, infatti, la formazione dei professionisti che operano in ambito sanitario è, in questo senso, lasciata per lo più all’iniziativa e alla sensibilità personale. «La formazione del medico di medicina generale - prosegue Marina Pierdominici - rappresenta una priorità in quanto si tratta di un medico di fiducia che offre ai cittadini un approccio personalizzato, integrato e continuativo. Per il 2023 l’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, ha programmato corsi formativi sul tema di salute e identità di genere per il personale sanitario. Quello a cui dobbiamo puntare è un approccio personalizzato alla medicina, considerando la persona in tutti i suoi aspetti, inclusa la variabile di genere».

 

STILI DI VITA

L’attività fisica, solitamente, si riduce con l’avanzare dell’età. Nelle persone transgender, invece, i livelli di attività fisica sono molto scarsi anche tra i giovanissimi. Il 64% delle persone transgender assegnate maschio alla nascita e il 58% delle persone transgender assegnate femmina alla nascita, non fanno attività fisica, rispetto al 33% e al 42% degli uomini e delle donne nella popolazione generale. Relativamente al fumo di sigaretta la popolazione più a rischio è rappresentata dalle persone transgender assegnate femmina alla nascita che riferiscono di fumare nel 37% dei casi rispetto al 25% degli uomini e al 19% delle donne nella popolazione generale. Anche il consumo eccessivo di alcol in una singola occasione, conosciuto come binge drinking, è più frequente nella popolazione transgender. «Le differenze riscontrate tra la popolazione transgender e la popolazione generale per quanto riguarda gli stili di vita – precisa la dottoressa Pierdominici – sono correlabili, anche in questo caso, a molteplici fattori tra i quali minority stress, episodi transfobici e transfobia interiorizzata che causano depressione e, conseguentemente, giocano un ruolo cruciale nella scarsa adozione di corretti stili di vita. Spogliatoi e docce condivise, ad esempio, se non ci si sente accettati e inclusi, possono fungere da deterrente allo svolgimento dell’attività fisica, creando disagio e insicurezza verso gli altri e verso il proprio corpo».

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BENESSERE PSICHICO

Per migliorare il benessere della popolazione transgender, fisico e anche psichico, è fondamentale svolgere un lavoro di sensibilizzazione e di inclusione che, oltre all’ambito sanitario, coinvolga la scuola, le associazioni sportive, i datori di lavoro, gli esperti del settore comunicazione, avvocati e, in generale, tutti i professionisti che abbiano a che fare con la salute di genere. Che la popolazione transgender abbia uno stato di salute psichica maggiormente compromesso rispetto alla popolazione generale, con alte percentuali di depressione, è ormai confermato. In particolare, dallo studio effettuato, le persone transgender non binarie giudicano in modo peggiore la propria condizione di salute, soprattutto psichica, rispetto alle persone transgender binarie. «I risultati a oggi ottenuti – conclude la dottoressa Pierdominici – suggeriscono alcune priorità da affrontare in termini di stili di vita, prevenzione, accesso ai servizi sanitari e formazione del personale sanitario ai fini di rendere efficaci le azioni di salute pubblica rispetto alla popolazione transgender. Campagne di comunicazione e sensibilizzazione, e corsi di formazione ad hoc per i professionisti che operano nell’ambito della salute rappresentano azioni già in essere che necessitano di un potenziamento e di un ampliamento attraverso un approccio intersezionale condiviso con centri clinici, associazioni, società scientifiche».

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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