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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 04-06-2023

Tumore del polmone EGFR mutato: evitare le recidive è possibile



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L'utilizzo della terapia target osimertinib riduce drasticamente il rischio di recidiva dopo l'operazione. Così l'88% dei pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi

Tumore del polmone EGFR mutato: evitare le recidive è possibile

Anche se preso in tempo il tumore al polmone presenta un alto tasso di recidiva dopo la rimozione chirurgica. Evitare però che la malattia si ripresenti è oggi possibile. Nelle neoplasie del polmone con mutazione nel gene EGFR, l'utilizzo di osimertinib dopo la chirurgia contribuisce a ridurre il rischio di recidiva o morte del 51% rispetto alla chemioterapia. A cinque anni dalla diagnosi, quasi il 90% dei pazienti è ancora vivo. Un risultato straordinario presentato al congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO), il principale appuntamento mondiale dedicato alla lotta al cancro. 

IL TUMORE DEL POLMONE

Ogni anno, in Italia, sono circa 44mila i nuovi casi di tumore del polmone. Per l'80% si tratta di tumore al polmone non a piccole cellule (NSCLC). Purtroppo, ad oggi, una buona parte di queste neoplasie viene diagnosticata in fase avanzata. Nel 30% dei casi -ma la percentuale è destinata ad aumentare complice l'avvio dei primi progetti di screening nei forti fumatori- la malattia riesce ad essere diagnosticata in fase precoce per essere eliminata chirurgicamente.

LE RECIDIVE

Ma esattamente come accade per il seno, anche nei tumori del polmone le recidive non sono affatto rare. «La chirurgia -spiega Filippo de Marinis, Direttore della Divisione di Oncologia Toracica del'Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano- rimuove il carcinoma e taglia al livello macroscopico ma non riesce a incidere su quello microscopico. Resta, cioè, un "microscopico invisibile" rappresentato dalle micrometastasi che si muovono nel sangue e nella linfa e incidono sulla ricaduta locale o a distanza della malattia nel tempo. Circa la metà dei pazienti con tumore di stadio I-II e tre quarti dei pazienti di stadio III presentano una recidiva a cinque anni dall'intervento». Storicamente l'utilizzo della chemioterapia in modalità adiuvante, ovvero per ridurre il rischio di recidiva, non ha mai portato a benefici significativi. Ecco perché negli anni si sono andate a sviluppare nuove possibili strategie per evitare le recidive.

LO STUDIO

Una di queste è rappresentata dall'utilizzo di osimertinib. Una quota pari a circa 15% dei tumori del polmone presenta una particolare caratteristica genetica, la mutazione nel gene EGFR. Una peculiarità che espone queste cellule ad essere suscettibili all'azione di osimertinib. Lo studio ADAURA presentato ad ASCO e coordinato proprio dal professor De Marinis, ha valutato il suo utilizzo adiuvante dopo l'operazione in pazienti con tumore al polmone EGFR mutato in stadio precoce. Condotto su 682 pazienti provenienti da 26 nazioni, è risultato che l'88% dei pazienti trattati con osimertinib è vivo a cinque anni, rispetto al 78% di quelli trattati con placebo. «Questi nuovi risultati dello studio ADAURA dimostrano che quasi il 90% dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio iniziale trattati con osimertinib è vivo a 5 anni, con una riduzione del rischio di morte del 51%. La rilevanza di questi dati è senza precedenti» conclude De Marinis.

LA SITUAZIONE IN ITALIA

Per quanto riguarda l'accesso alla terapia, nel nostro Paese osimertinib è disponibile in questa modalità di somministrazione a partire da settembre 2022. Ma per accedere è fondamentale che la persona venga sottoposta al test di ricerca della mutazione EGFR, meglio se effettuato direttamente sul campione della biopsia per anticipare i tempi.

NON SOLO EGFR

Ma le buone notizie da ASCO non finiscono qui. Nei pazienti con tumore del polmone in stadio precoce senza mutazioni EGFR, una strategia utile per evitare le recidive potrebbe essere la somministrazione dell'immunoterapia. Al congresso sono stati presentati i dati dello studio registrativo di Fase 3 KEYNOTE-671. Dalle analisi è emerso che  l’immunoterapia con pembrolizumab, prima e dopo l’intervento chirurgico, migliora la sopravvivenza libera da eventi e riduce il rischio di recidiva del 42%. In particolare a due anni dalla somministrazione -questo il tempo di osservazione raggiunto dallo studio- il 62,4% dei pazienti trattati con il regime pembrolizumab era vivo senza aver sviluppato eventi, rispetto al 40,6% dei pazienti trattati con il regime di chemioterapia e placebo. Un risultato importante che potrebbe presto portare all'approvazione del farmaco anche nel nostro Paese. 

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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