Un'opportunità in più nel trattamento del microcitoma, la forma di tumore del polmone da sempre più difficile da trattare. L'aggiunta di lurbinectedina al trattamento standard con chemioterapia e immunoterapia si è dimostrata più efficace nel controllo della malattia. Un risultato importante, presentato durante l'ultimo congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO), soprattutto se si considerano le scarse prospettive di cura quando la diagnosi arriva in fase avanzata.
CHE COS'È IL MICROCITOMA?
Ogni anno, in Italia, si registrano oltre 44 mila nuove diagnosi di tumore al polmone. Di queste, circa 6 mila riguardano la forma a piccole cellule (SCLC), nota anche come microcitoma. A differenza dei tumori non a piccole cellule (NSCLC), dove l’arrivo dell’immunoterapia ha migliorato sensibilmente le prospettive di cura, il microcitoma resta una delle neoplasie toraciche più aggressive e difficili da trattare. La malattia progredisce rapidamente, risponde inizialmente alla chemioterapia, ma tende quasi sempre a recidivare in tempi brevi.
LE CURE ATTUALI
Fino a pochi anni fa, il trattamento standard delle persone con microcitoma si basava esclusivamente sulla chemioterapia. La chirurgia è raramente un’opzione, perché questa neoplasia progredisce molto rapidamente e, nella maggior parte dei casi, è già in fase metastatica al momento della diagnosi. Il beneficio offerto dalla chemio, seppur inizialmente efficace, tende a essere di breve durata. Proprio per questo identificare nuove strategie terapeutiche è una priorità. Negli ultimi anni, l’introduzione dell’immunoterapia ha rappresentato un primo passo avanti: l’aggiunta di questi farmaci ha dimostrato di essere utile nel controllo della malattia. Ad oggi, in Italia, sono due gli immunoterapici approvati con questo intento: atezolizumab e durvalumab.
I RISULTATI DELLA NUOVA COMBINAZIONE
Proprio in virtù dei risultati non soddisfacenti ottenuti con le terapie attuali, da tempo si stanno sperimentando nuove combinazioni in grado di migliorare le prospettive per i pazienti. Una di queste è stata esplorata nel trial di fase III IMforte, presentato all’ultimo congresso ASCO. Lo studio ha valutato l’efficacia di un nuovo schema di mantenimento basato sull’aggiunta di lurbinectedina -un farmaco chemioterapico già utilizzato negli Stati Uniti nei pazienti in recidiva- alla terapia con atezolizumab, una volta conclusa la chemio iniziale. I risultati sono incoraggianti: con la nuova combinazione, dopo un anno era vivo il 53% dei pazienti, contro il 38% di quelli trattati con la sola immunoterapia. Un miglioramento significativo in una malattia che, nella forma metastatica, lascia ancora margini di intervento molto ristretti. Ora si attende che la combinazione venga valutata anche dalle autorità regolatorie europee perché possa presto diventare una nuova opzione per i pazienti anche nel nostro Paese.