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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 12-04-2022

Tumore dell'ovaio e della prostata: la cura è su misura



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Via libera di AIFA ad olaparib nel trattamento di alcune particolari forme di tumore della prostata e dell'ovaio. Fondamentali i test genetici per stabilire a quale paziente somministrare la cura

Tumore dell'ovaio e della prostata: la cura è su misura

Nel tumore della prostata e nel tumore dell'ovaio la cura si fa sempre più personalizzata. AIFA ha da poco approvato l'utilizzo di olaparib, un farmaco in grado di agire in maniera selettiva sulle cellule che presentano mutazioni nei geni BRCA e "difetti di ricombinazione omologa" come nel caso delle due neoplasie. Nel primo caso il farmaco potrà essere utilizzato nel tumore della prostata metastatico resistente alla castrazione e con mutazione dei geni BRCA1/2 in progressione dopo una precedente terapia; nel secondo in combinazione con bevacizumab, nel trattamento di mantenimento di prima linea del carcinoma ovarico avanzato che presenti un difetto di ricombinazione omologa.

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IL TUMORE DELLA PROSTATA

Il tumore della prostata rappresenta circa il 20% di tutte le neoplasie diagnosticate tra gli uomini a partire dai 50 anni di età. Secondo gli ultimi dati AIOM in Italia sono stati circa 36 mila i nuovi casi diagnosticati nel 2020. Una delle possibili strategie di cura, insieme a chirurgia e radioterapia, è rappresentata dalla terapia ormonale. Il tumore infatti per crescere ha bisogno dell'azione del testosterone prodotto dai testicoli. Obbiettivo della terapia ormonale è quello di bloccare o quantomeno ridurre l'azione del testosterone per limitare la crescita tumorale. Nel tempo però può accadere che il trattamento con queste terapie induca un fenomeno di resistenza. In questi casi si parla di tumore della prostata castrazione resistente.

L'UTILIZZO IN SECONDA LINEA

Nelle forme metastatiche, precedentemente trattate con una terapia ormonale (enzalutamide o abiraterone), oggi anche nel nostro Paese sarà possibile utilizzare olaparib in quei pazienti che presentano mutazioni nei geni BRCA (circa il 10% di tutti i tumori prostatici). «Questa approvazione apre l’era della medicina di precisione anche nel tumore della prostata. Nello studio di fase III PROfound, pubblicato sul New England Journal of Medicine, olaparib ha più che triplicato la sopravvivenza libera da progressione radiologica, con una mediana di 9,8 mesi rispetto a 3 mesi con enzalutamide o abiraterone –spiega Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e coordinatore nazionale dello studio PROfound-. Olaparib, inoltre, ha ridotto il rischio di morte del 31%, con una sopravvivenza globale mediana di 19,1 mesi rispetto a 14,7 mesi con l’agente ormonale. E sono favorevoli anche i dati sulla qualità di vita, aspetto molto importante da considerare soprattutto nella fase metastatica».

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IL TUMORE DELL'OVAIO

Il tumore dell'ovaio invece, più contenuto come numeri (circa 5 mila le nuove diagnosi annue), rappresenta una sfida in termini di cure. Purtroppo solo poco più del 40% delle donne sopravvive a 5 anni dalla diagnosi. La ragione è data dalla diagnosi tardiva: l'80% di queste neoplasie è scoperto in fase metastatica. La chirurgia rappresenta l'approccio principale nel trattamento seguita da chemio e radioterapia. Fortunatamente negli anni sono stati sviluppati farmaci antiangiogenetici -che impediscono la crescita del tumore- e i PARP inibitori come olaparib capace di agire in maniera selettiva sulle cellule mutate che provocano il tumore ovarico

L'UTILIZZO COME MANTENIMENTO

Per quanto riguarda il tumore dell'ovaio, dopo la chemioterapia spesso si opta per una terapia di mantenimento. Da oggi questa potrà essere composta dalla combinazione di bevacizumab (un antiangiogenetico) e olaparib per tutti quei tumori che presentano un difetto di ricombinazione omologa (circa il 50% di tutti i tumori ovarici). «Nello studio di fase III Paola-1, pubblicato sul New England Journal of Medicine- la combinazione ha ridotto il rischio di progressione della malattia o morte del 67% – spiega Nicoletta Colombo, Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e Professore Associato all’Università Milano-Bicocca-. L’aggiunta di olaparib ha portato la sopravvivenza libera da progressione a una mediana di oltre 3 anni, cioè a 37,2 mesi rispetto a 17,7 con bevacizumab da solo nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato HRD-positivo. Sappiamo che il 70% delle donne con malattia avanzata va incontro a recidiva entro due anni: per questo motivo è importante utilizzare terapie di mantenimento in grado di ottenere una remissione a lungo termine. I dati ottenuti con un follow-up a 36 mesi hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo anche del tempo alla seconda progressione di malattia, con una mediana di 50,3 mesi rispetto a 35,3 mesi con bevacizumab da solo». 

L'IMPORTANZA DEI TEST 

Come si evince dalle approvazioni di AIFA, l'utilizzo di olaparib è dipendente dall'esecuzione di specifici test genetici in grado di rilevare quelle anomalie su cui il farmaco agisce. «Per quanto riguarda il tumore della prostata -conclude Procopio- il test BRCA, eseguito su sangue periferico o su tessuto tumorale, rappresenta uno step fondamentale nella diagnosi e nella decisione del trattamento del carcinoma prostatico metastatico, come stabilito anche nelle Raccomandazioni dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom). Circa il 10% degli uomini presenta infatti una mutazione dei geni BRCA, consentendo di pianificare un percorso terapeutico adeguato, grazie alla disponibilità di una terapia mirata efficace e ben tollerata come olaparib».

Situazione identica per l'ovaio: «L'esecuzione del test HRD al momento della diagnosi assume un ruolo fondamentale poiché permette di indentificare tempestivamente le pazienti che possono beneficiare di un trattamento in grado di controllare la malattia a lungo termine, ritardando la ricaduta, con una buona qualità di vita. Le mutazioni dei geni BRCA rappresentano solo una parte dei difetti del sistema di ricombinazione omologa, i quali si ritrovano in circa il 50% delle pazienti con tumore ovarico avanzato di nuova diagnosi e predicono la sensibilità agli inibitori di PARP. Conoscere lo status di HRD è fondamentale per la selezione delle pazienti che possano beneficiare del trattamento di prima linea personalizzato con olaparib in combinazione con farmaci antiangiogenici» conclude la Colombo.

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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