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Pediatria
Redazione
pubblicato il 27-12-2012

Se il papà è in missione di guerra, i figli soffrono



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Indagando nelle basi militari di Padova e di Pordenone, la scoperta di una studiosa dei gravi scompensi che toccano i bambini di padri in teatri di guerra. Il rischio di una possibile morte, di cui però non si deve parlare, è il peso maggiore. Che fa scattare depressione o iperattività, enuresi notturna e cattivi voti a scuola

Se il papà è in missione di guerra, i figli soffrono

Indagando nelle basi militari di Padova e di Pordenone, la scoperta di una studiosa dei gravi scompensi che toccano i bambini di padri in teatri di guerra. Il rischio di una possibile morte, di cui però non si deve parlare, è il peso maggiore. Che fa scattare depressione o iperattività, enuresi notturna e cattivi voti a scuola

«Le missioni di pace all’estero provocano gravi scompensi nei figli di quanti partono per il rischio, non detto ma percepito, di una possibile morte». Lo ha affermato a Padova a un convegno su bambini e prevenzione psicologica e sanitaria la docente di quella Università, Graziella Fava Vizziello, con cattedra di Psicopatologia dello sviluppo.

La studiosa ha indagato il fenomeno stando in una sede privilegiata: a Padova vi è infatti una base militare comprensiva di una sorta di villaggio dove sono alloggiate le famiglie dei soldati che vanno all’estero. In più, una volta iniziata la ricerca su questo tema («a dare il via è stato il primo papà venuto a consultarci col figlioletto per mano»), si è creato un collegamento con Pordenone, sede di un’altra base analoga.

UN PREZZO NASCOSTO - Intervistata, la professoressa Fava Vizziello porta alla luce un lato nascosto delle missioni all’estero, un “costo” di cui non si dà conto. Quel che pagano le famiglie, e in particolare i figli, per quelle assenze prolungate e rischiose. «Un rischio di cui non si parla, i capifamiglia sono in missione di pace, no? Ma questa paura di morte non detta resta sospesa e pesa ancor di più sulla psiche di chi resta. Sono abbastanza vecchia – aggiunge la studiosa - per ricordare la guerra: mio padre era al fronte, ma del rischio che morisse si parlava, dunque si dava voce e sfogo alla paura. La si condivideva».

SEI MILA IN MISSIONE - Sono 6mila i militari italiani che partono all’anno diretti in zone di guerra o comunque difficili: per lo più in Afghanistan e Libano, altri in Somalia, Albania, Kosovo, molti meno in Irak. La loro partenza si può dividere in quattro fasi.  Il prima, la vigilia, in cui i soldati vengono preparati psicologicamente a quanto li attente. «Ma le famiglie no, non hanno diritto a questo supporto, mentre negli Stati Uniti è sancito che anche i familiari vengano seguiti in tutte le fasi», osserva la docente padovana.

TV SEMPRE ACCESA O SEMPRE SPENTA -Il primo mese dopo la partenza del marito e padre i suoi cari vivono tristezza e senso di abbandono, la riscossa psicologica scatta dal secondo mese. Tutta la gestione della famiglia cambia perché la madre ora ricopre anche i ruoli dell’uomo assente. Se c’è un figlio maschio grande, tende a farsi carico di vari compiti. Poi c’è la madre che tiene la tv accesa per 24 ore al giorno per sentire sempre le notizie  e quella che non ce la fa e la tiene sempre spenta.

La sera in genere i padri telefonano e ci sono i figli che parlano con lui, si fanno raccontare, ma altri bambini rifiutano di parlargli: non sopportano la situazione, preferiscono mettere da parte il problema. La quarta fase è l’ultimo mese dell’assenza: si accende l’attesa trepidante del ritorno, ma anche l’ansia: come saremo a ritrovarci ora dopo esperienze così diverse, e così forti per l’uomo? Inoltre molte mogli,  quando il marito sta via mesi si cercano un lavoro. Situazione per cui il marito, tornando, si arrabbia moltissimo: ma come, lui va in missione, corre i rischi  per dare  un tenore di vita più elevato (uno stipendio alto, una bella casa, una casa estiva e invernale comunitaria per tutti quelli della base), che cosa c’entra allora che lei si metta a lavorare? L’ultimo mese aumenta anche la paura, sempre non detta: di quanti si è sentito che sono rimasti uccisi proprio quando stavano per tornare?

FAMIGLIA A FISARMONICA - La scelta dei più, inoltre, militari o ingegneri o medici che siano, è di ripartire per una seconda, e poi terza, missione di pace all’estero. «Allora i figli si trovano a doversi adattare a una famiglia a fisarmonica, più larga e più ristretta. Accade pure che il rischio di morte fa cambiare i valori delle cose: il papà che va in missione pericolosa è per poterci permettere tutte queste cose…  A volte, poi, le madri esplodono: non ce la faccio più a gestire da sola questi figli (spesso sono tre, abbiamo visto) con tutte le paure che ho addosso! Basta!».

A cominciare dal primo bimbo che fu portato per mano dal padre, rientrato da poco, perché «non sta bene, è strano», quali sono i sintomi del malessere espresso dai figli – o da una parte dei figli - di questi militari spesso assenti tra guerre e una pace faticosa da affermare? «Quasi sempre vanno male a scuola, alcuni diventano depressi e altri iperattivi, per alcuni ricompare l’enuresi notturna, cioè tornano a fare la pipì a letto, altri sembrano staccati dalla realtà. L’ombra sospesa di quella morte possibile pesa tanto sul vissuto dei piccoli».

C’è rimedio? «Deve essere riconosciuto anche in Italia il diritto delle famiglie al sostegno psicologico in ogni fase. Anche dopo il ritorno del marito e padre».

Serena Zoli


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