Si chiama Tia, cioè transient ischemic attack, che vuol dire un attacco ischemico passeggero. In pratica, un ictus di breve durata. Grande spavento, è un segnale di allarme che non deve mai essere sottovalutato, ma i sintomi spariscono in genere entro un giorno. Tutto finito, tutto tornato a posto? Si direbbe di sì, ma ora uno studio avverte che questo Tia può provocare una “fatigue”, una particolare astenia che può durare anche un anno.
La ricerca, pubblicata su Neurology, la rivista dell’American Academy of Neurology, è stata condotta in Danimarca, all’Aalborg University Hospital.
I SINTOMI DEL TIA, ATTACCO ISCHEMICO PASSEGGERO
Premesso che il fenomeno viene spiegato come un temporaneo blocco del flusso sanguigno verso il cervello, Boris Modrau, primo autore dello studio, spiega: «I soggetti con un Tia possono avere sintomi come la faccia cadente, debolezza a un braccio o difficoltà a parlare e tutto questo si risolve in un giorno. Tuttavia, alcuni hanno riferito di continue difficoltà tipo una ridotta qualità della vita, problemi a pensare, depressione, ansia e fatigue. Il nostro studio ha mostrato che per diverse persone la fatigue era un sintomo comune capace di durare anche un anno dopo il Tia».
ESAMINATE 354 PERSONE COLPITE DA TIA
La ricerca ha coinvolto 354 persone, seguite per un anno, dell’età media di 70 anni che avevano subito un mini-ictus. A questi pazienti è stato chiesto di rispondere a vari questionari sul loro livello di fatigue a due settimane dall’evento, poi a tre mesi, a sei e a 12 mesi di distanza.
Un questionario considerava cinque tipi di stanchezza, cioè stanchezza generale, stanchezza fisica, ridotta attività, ridotta motivazione a fare e fatigue mentale. Il punteggio assegnato andava da 4 a 20, col valore più alto per la fatigue maggiore.
All’inizio dell’esperimento i partecipanti hanno raggiunto il punteggio medio di 12,3, dopo 3 mesi di 11,9 , ai 6 mesi di 11,4 e ai 12 di 11,1. I ricercatori hanno individuato i partecipanti che avevano segnato il punteggio 12 o maggiore. E’ venuto fuori che il 61 per cento avevano sentito fatigue due settimane dopo il Tia e che il 54 per cento l’avevano avvertita per tutto l’anno.
IL COAGULO DI SANGUE NON SPIEGA LA FATIGUE
I volontari sono stati sottoposti anche a scansioni cerebrali. I ricercatori hanno constatato che la presenza di un coagulo di sangue in una scansione era uguale sia in persone con fatigue sul lungo periodo sia in altre senza questo problema; dunque non stava lì la causa del livello di affaticamento. Hanno invece constatato che preesistenti ansia o depressione erano due volte comuni nei partecipanti con una lunga fatigue.
«La condizione di astenia sul lungo periodo era comune nelle persone seguite nel nostro studio – ha osservato il dottor Morau – e abbiamo constatato che se le persone l’avvertono nelle due settimane dopo aver lasciato l’ospedale è probabile che continueranno a soffrirne per un anno. In futuri studi, le persone colpite da un Tia dovrebbero venire seguite per settimane e mesi: questo ci permetterebbe di capire meglio quelli che potrebbero subire la fatigue a lungo e, dunque, dovrebbero ottenere ulteriori cure».
Lo studio danese non prova che i mini-ictus siano la causa dello stato di fatigue, ne certificano soltanto un’associazione. Ma questa perdurante “stanchezza” a che cosa si deve?
FORSE IL TIA RILASCIA SOSTANZE INFIAMMATORIE
Risponde la neurologa Valeria Caso, che fa parte della Stroke Unit all’Ospedale Santa Maria della Misericordia a Perugia: «Le ipotesi per spiegare il danno prolungato possono essere diverse. Una delle principali riguarda la neuroinfiammazione. Anche un'ischemia breve può attivare cellule del sistema immunitario del cervello, rilasciando sostanze infiammatorie che alterano l’equilibrio chimico cerebrale».
O IL CORPO RESTA IN ALLERTA CONTINUA
Continua la dottoressa Caso: «Un altro elemento potrebbe essere una disregolazione del sistema nervoso autonomo perché il corpo rimane in uno stato di allerta cronica, come se continuasse a “temere” un nuovo attacco. A questo si aggiungono spesso ansia e depressione preesistenti, che nel gruppo “affaticato” erano molto più comuni.
Come nell’ictus, anche nel Tia ci possono essere sintomi “invisibili” come la fatica. Perché la vera guarigione non si misura solo con una risonanza, ma con la qualità della vita di chi ha vissuto l’evento».