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Alimentazione
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 06-06-2022

Celiachia: in Italia diagnosticata meno della metà dei casi


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I celiaci in Italia sarebbero 600.000, ma i casi diagnosticati sono poco più di 233.000. Focus sulla celiachia nell'ultima relazione annuale

Celiachia: in Italia diagnosticata meno della metà dei casi

Quanti sono i celiaci in Italia? E quali difficoltà incontrano nella vita di tutti i giorni? Il Ministero della Salute è da anni impegnato sul tema della celiachia e regolarmente stila documenti per descrivere quello che è lo stato dell’arte di questa condizione. Il rapporto più recente è quello con i dati relativi agli anni 2020, recentemente reso noto, che fotografa la situazione nel nostro paese al 31/12/2020 circa la diffusione della celiachia, le nuove diagnosi, le sue manifestazioni e caratteristiche, i prodotti erogabili per i celiaci e le informazioni principali aggiornate utili per convivere con una patologia che si conosce sempre meglio.

 

CHE COS’È LA CELIACHIA?

«La celiachia - spiega Marco Silano, direttore Unità Operativa Alimentazione e Nutrizione Salute presso l’Istituto Superiore di Sanità - è una patologia infiammatoria, con alcune caratteristiche delle malattie autoimmuni con una competente genetica che colpisce prevalentemente la popolazione femminile. È una condizione che si scatena quando il sistema immunitario comincia per errore ad aggredire il glutine (proteina presente in molti cerulei a cominciare dal grano) che si lega all’enzima trans-glutaminasi tissutale presente nell’organismo».

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Alimentazione e celiachia

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TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

 

DONNE PIÙ COLPITE

Come sottolineato nel Rapporto 2020, la celiachia è soprattutto al femminile (sono donne il 66 per cento dei celiaci) perché la risposta immunitaria nelle donne è particolarmente sviluppata e veloce. Probabilmente, si spiega, la ragione sta nel fatto che il sistema immunitario femminile si è selezionato e sensibilizzato nell’evoluzione biologica verso gli agenti infettivi, anche per poter far fronte alle infezioni post-parto. A ciò si aggiungono fattori genetici ed ormonali. La celiachia, si specifica ancora nella relazione al Parlamento, è una patologia cronica che può manifestarsi in qualsiasi momento della vita. Colpisce circa l’1 per cento della popolazione e si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti. È una condizione permanente in cui il soggetto affetto deve escludere il glutine dalla sua dieta per tutta la vita.

 

I CASI REALI SONO PIÙ DEL DOPPIO DI QUELLI DIAGNOSTICATI

«Identificare i sintomi della celiachia è ovviamente - spiega Silano - il presupposto fondamentale per arrivare a una diagnosi corretta, a partire dal medico di medicina generale ed il pediatra di libera scelta. Proprio grazie a un approccio sempre più corretto e preciso, le diagnosi annue sono in costante aumento nel nostro paese e l’obiettivo è quello di arrivare all’identificazione di tutti i celiaci presenti sul territorio nazionale. Secondo la relazione 2020, ad oggi in Italia i celiaci diagnosticati sono 233.147, di cui il 34% appartenente alla popolazione maschile (78.248) e il 66% a quella femminile (154.899), anche se, secondo la letteratura scientifica, il numero reale dei celiaci in Italia dovrebbe aggirarsi intorno ai 600.000. Nell’arco dell’intero 2020 sono state effettuate 7.729 nuove diagnosi, quindi circa l’8% in più rispetto all’anno 2019».

 

I SINTOMI DELLA CELIACHIA

I sintomi caratteristici della celiachia, descritti nel documento, possono essere: disturbi intestinali cronici (dolore addominale, stipsi, diarrea, meteorismo, alvo alterno), stomatite aftosa ricorrente, ipoplasia dello smalto dentario (deficit qualitativo e/o quantitativo dello smalto dei denti), scarso accrescimento statuale in età pediatrica, anomalie dello sviluppo in età puberale, aumento delle transaminasi, sideropenia (scarsi livelli di ferro), stanchezza cronica, rachitismo, osteopenia (riduzione della massa ossea), dermatite erpiforme (patologia dermatologica), osteoporosi, alopecia, artrite, artralgia, orticaria ricorrente, disturbi della fertilità (abortività spontanea, menarca tardivo, menopausa precoce, infertilità), complicanze della gravidanza, iposplenismo (ridotta funzionalità della milza), disturbi del comportamento alimentare (anoressia nervosa), particolari forme di epilessia.

 

IL RUOLO DELLA GENETICA

Ci sono dei geni, come emerso dal rapporto 2020, che sono associati al rischio di sviluppare la celiachia, ossia geni presenti (in maniera quasi assoluta) in chi manifesta questa patologia, ma non in sé determinanti per il suo sviluppo. Si tratta insomma di una condizione necessaria ma non sufficiente. I geni in questione, denominati HLA di classe II che codificano gli alleli DQ2 e DQ8, costituiscono la predisposizione genetica obbligatoria della celiachia. Infatti, oltre il 95% dei pazienti celiaci è portatore dell’allele DQ2. La maggior parte dei restanti pazienti celiaci presenta il DQ8. Che si tratti di una condizione non sufficiente è evidenziato dal fatto che circa il 30-40% della popolazione mondiale presenta l’aplotipo DQ2/8, ma solo il 3% di questi sviluppa prima o poi la celiachia.

 

A COSA SERVONO I TEST GENETICI

L’importanza diagnostica del HLA-DQ risiede, dunque, nel suo valore predittivo negativo, dato che la negatività per entrambi gli aplotipi (combinazione di varianti alleliche lungo un cromosoma o segmento cromosomico) ne rende decisamente improbabile la diagnosi. Quindi nella pratica diagnostica il ruolo principale della tipizzazione HLA è escludere la malattia celiaca, in particolare negli individui appartenenti a gruppi a rischio di sviluppo di malattia, ossia in chi manifesta sintomi o ha predisposizione familiare (parenti di I grado celiaci) o individuale (altre malattie autoimmuni).

 

LA RICERCA DI SPECIFICI ANTICORPI

La celiachia è caratterizzata dalla presenza di auto-anticorpi specifici. Ma tra i tanti ce ne sono alcuni che, più di tutti, sono utili nella pratica clinica per identificare i pazienti. «Sono gli anticorpi anti-TG2 di classe IgA che rappresentano la classe di auto anticorpi utilizzata per il primo step diagnostico nella celiachia, unitamente al dosaggio delle IgA totali - spiega Silano -. La positività degli anti-TG2 (eventualmente confermata dal dosaggio degli EMA) è associata ad un’alta probabilità di celiachia». Il protocollo diagnostico pediatrico in vigore dal 2012 con successive modifiche, spiega ancora l’esperto, prevede che la presenza in un bambino con sintomi suggestivi di celiachia, di un valore di anti-TG2 superiore 10 volte il cut-off associato alla positività degli EMA, sia sufficiente per la diagnosi di celiachia senza necessità di ricorrere alla biopsia.

 

I PRODOTTI GLUTEN FREE, BUONI E MENSE IN PIENA PANDEMIA

Premesso che la cura per la celiachia consiste in una dieta priva di glutine, come risaputo e sottolineato nella Relazione, per garantirla in piena pandemia il Ministero ha provveduto a supportare le Regioni nella gestione dei celiaci fuori sede e a confezionare, in collaborazione con il Ministero dell’economia e delle finanze, la bozza della norma che ha come obiettivo l’acquisto dei prodotti senza glutine al di fuori della regione di residenza o del domicilio sanitario del paziente celiaco e la spendibilità del buono in tutti i canali di vendita. Per favorire una corretta alimentazione anche fuori casa, il Ministero della salute ha continuato a impegnare e distribuire i fondi statali per garantire i pasti senza glutine nelle mense e la formazione degli operatori del settore alimentare. Le mense scolastiche, ospedaliere e quelle annesse alle strutture pubbliche, ai sensi della legge 123/2005, devono garantire un pasto senza glutine ai celiaci che ne fanno richiesta. Sono 37.772 di cui 27.334 scolastiche, 7.305 sono ospedaliere e 3.133 sono annesse alla Pubbliche Amministrazioni. Il numero totale di mense del 2020 risulta inferiore di 400 unità rispetto all’anno precedente. Gli autori del rapporto commentano: «Interessante sarà andare a verificare il medesimo dato nel 2021 alla luce della contrazione dei consumi, della didattica a distanza e dello smart working».

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Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


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