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Alimentazione
Caterina Fazion
pubblicato il 17-04-2023

Eritritolo: pro e contro del dolcificante naturale



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Il dolcificante naturale eritritolo non apporta calorie e non aumenta la glicemia. Gli effetti a lungo termine, però, non sono ancora chiari: limitarne il consumo è la scelta migliore

Eritritolo: pro e contro del dolcificante naturale

L'eritritolo è un dolcificante naturale utilizzato come sostituto dello zucchero. Pur avendo il suo stesso aspetto e il suo stesso sapore, è caratterizzato da un apporto calorico, e nutrizionale, pressoché nullo.

Perché usarlo? Quali sono i vantaggi e gli eventuali effetti indesiderati? Ne parliamo con la professoressa Stefania Paolillo, Cardiologa dell’Università Federico II di Napoli.

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CHE COS’È L’ERITRITOLO?

Dal punto di vista chimico l’eritritolo è un polialcol presente in natura nei prodotti di origine vegetale, come frutta o mais, ed estratto industrialmente proprio a partire da zuccheri vegetali sottoposti a processi intensivi di fermentazione batterica in specifici bioreattori. L’eritritolo è anche comunemente addizionato ad alcuni alimenti e bevande, soprattutto fermentate, in quantità molto maggiori rispetto a quelle che naturalmente sono presenti negli alimenti.

A partire dal 2006, data di approvazione concessa dalla Commissione Europea, l’eritritolo sta assumendo nel territorio europeo e italiano sempre maggior rilevanza tra i dolcificanti, rappresentando una valida alternativa ai classici dolcificanti sintetici e semisintetici.

 

I VANTAGGI

Quali sono i motivi che hanno determinato un uso sempre maggiore di eritritolo come dolcificante? Comunemente indicato in etichetta con la sigla E968, è uno dei dolcificanti naturali preferiti dai consumatori per il suo potere calorico praticamente nullo, pari circa 0,2 Kcal per grammo, nonostante l’elevato potere dolcificante, stimato intorno al 60 - 80% del comune saccarosio. I vantaggi, però, non sono finiti.

«A differenza dello zucchero – spiega la professoressa Paolillo –, oltre a non aggiungere calorie ulteriori a quello che mangiamo o beviamo, ha un indice sia glicemico sia insulinemico piuttosto irrilevante. Questo significa che, nell'immediato, non causa variazioni di glicemia e di insulinemia, i due parametri strettamente correlati al diabete e alla scarsa tolleranza al glucosio. Inoltre, a differenza di altri dolcificanti come la stevia che ha un retrogusto un po' amaro, simile alla liquirizia, l'eritritolo non ha pressoché nessun retrogusto e, anche visivamente, è molto simile allo zucchero. L'effetto psicologico sulla persona che lo assume, dunque, è da paragonare all’assunzione dello zucchero vero».

Non vanno dimenticate le caratteristiche metaboliche che impediscono all'eritritolo di accumularsi nel lume intestinale, riducendo quindi, a dosi limitate, la comparsa di diarrea e dolori addominali crampiformi, permettendone invece l'assorbimento intestinale e la conseguente eliminazione per via renale.

 

ESISTE UN RISCHIO CARDIOVASCOLARE?

L’approvazione dell’eritritolo da parte della FDA e dell’Unione Europea si è basata su una serie di studi fatti sia sull'animale sia sull'uomo, in cui è stato stabilito che, quantomeno nel breve termine, è un prodotto sicuro. Ultimamente, però, si stanno cercando di indagare anche gli effetti a lungo termine, in particolare quelli sul sistema cardiovascolare. In un recente studio pubblicato su Nature Medicine, è stata osservata un’associazione tra elevati livelli circolanti di eritritolo ed un aumentato rischio di eventi cardiovascolari avversi maggiori come morte, infarto miocardico non fatale o ictus, in un periodo di osservazione di tre anni.

«È importante non allarmarsi per questo studio – precisa Stefania Paolillo –, e i motivi sono molteplici. Innanzitutto, si tratta di uno studio associativo e non di uno studio causativo: non viene stabilita una relazione di causa-effetto, ma viene semplicemente evidenziata un'associazione tra alti livelli di eritritolo e rischio aumentato di eventi cardiovascolari. Inoltre, non è uno studio randomizzato, ovvero uno studio in cui i soggetti vengono assegnati a differenti gruppi di trattamento e se ne valuta in ciascuno il rapporto causa-effetto. In aggiunta, i soggetti coinvolti nello studio hanno una caratteristica comune da non sottovalutare: sono stati tutti selezionati da centri specialistici in cui si erano recati per un follow up cardiologico. Nel 75% dei casi questi soggetti avevano già una malattia coronarica, nel 70% ipertensione e in quasi il 50% si era già verificato un infarto del miocardio. Si tratta quindi di persone che, di per sé, presentano un rischio aumentato di eventi cardiovascolari».

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SERVONO ULTERIORI STUDI

Gli autori dello studio, per effettuare l’analisi statistica che determinasse l’associazione tra livelli di eritritolo e rischio cardiovascolare, hanno corretto la relazione osservata al netto dei fattori di rischio cardiovascolare e delle malattie cardiache già presenti. L'associazione, pur riducendosi di intensità, è comunque rimasta.

«Questi risultati, in ogni caso, non possono essere trasferiti alla popolazione generale sana – spiega la professoressa Paolillo – perché parliamo di due popolazioni completamente differenti. Questo studio rappresenta comunque un buon punto di partenza per effettuare ulteriori studi randomizzati di follow up per capire quale sia il profilo di sicurezza a lungo termine di questi prodotti. Avendo escluso gli effetti immediati sull’aumento della glicemia o sull’obesità, dobbiamo capire quale sia la dose potenzialmente pericolosa e gli effetti sul lungo periodo che, ad oggi, non conosciamo per nessun dolcificante in uso anche da molto più tempo dell'eritritolo».

 

ERITRITOLO: SÌ O NO?

In attesa di ulteriori ricerche che stabiliscano gli effetti a lungo termine come dobbiamo comportarci con l’utilizzo dell’eritritolo? Lo possiamo consumare senza timori, preferendolo allo zucchero?

«L'Organizzazione mondiale della sanità – spiega Stefania Paolillo – raccomanda di non superare una quantità di zuccheri semplici pari al 10% dell'introito calorico giornaliero. A mio avviso quello che bisogna fare è avere una dieta più variegata possibile, che comprenda tutte le tipologie di alimenti, limitando il consumo non solo di zucchero, ma anche di qualunque dolcificante. Dovremmo essere sempre più consapevoli che, nonostante il gusto sia importante, questo può anche essere modificato. Ad esempio, ci si può abituare a prendere caffè e il tè amari o a preparare i dolci senza zucchero, limitando anche l'uso dei dolcificanti, visto che non ne conosciamo ancora precisamente gli effetti a lungo termine. Per i cibi già addizionati è più difficile controllarne l’assunzione perché spesso la quantità di queste sostanze non è riportata sulle etichette degli alimenti».

«Alla lunga il consumo di zucchero – ricorda ancora Paolillo - ha sicuramente degli effetti sulla glicemia, sull'aumento di peso e sull'obesità, tutti elementi che aumentano il rischio cardiovascolare e di altre malattie. Per questo lo zucchero va evitato o limitato al massimo, soprattutto nei soggetti più a rischio».

Per queste persone, e in relazione agli effetti sopraelencati, potrebbe allora essere meglio il dolcificante naturale?

«In questi casi preferire il dolcificante naturale è sicuramente meglio - conclude la professoressa Paolillo -, a patto che si parli di quantità minime. In commercio si trovano anche dei preparati misti di stevia ed eritritolo che consentono di ridurre le dosi di entrambe le sostanze e di mitigare il retrogusto amaro della stevia. Dolcificare alimenti e bevande è importante nella vita, anche per un aspetto psicologico, quindi, se non si riesce ad evitarlo, almeno cerchiamo di utilizzare queste sostante dolcificanti in quantità minime, a prescindere dalla loro natura».

Insomma, tenere il "dolce" al vertice della piramide alimentare, ovvero come consumo sporadico, rimane la scelta più saggia.

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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