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Edoardo Stucchi
pubblicato il 16-06-2015

«Io, il mio donatore e la mia nuova vita da trapiantato»



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Alberto è del 1974, ma dice di essere rinato 21 anni fa quando ha ricevuto un rene sano. Con più di cento atleti ha partecipato ai giochi nazionali per trapiantati e dializzati ad Abano Terme

«Io, il mio donatore e la mia nuova vita da trapiantato»

«La mia vita è speciale, perché ho incontrato il dolore e la sofferenza fin dai primi mesi di vita». A lui piace descrivere così i suoi 41 anni. A parlare è Alberto Signorini (nella foto), trapiantato di rene, uno dei partecipanti ai Giochi nazionali per trapiantati di tutti gli organi e dializzati, organizzati dall’Associazione nazionale emodializzati (Aned), il Centro nazionale trapianti e il Coni, ad Abano Terme, dove domenica si sono confrontati più di cento atleti. Obiettivo: dimostrare che la capacità di fare sport e la voglia di vivere non è detto che svaniscano con un intervento. 

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LA STORIA

Alberto è nato nel 1974, ma la sua nuova vita è cominciata 21 anni fa, quando è passato dalla dialisi al trapianto. «Sin da piccolo, dopo un intervento di ricostruzione degli ureteri, mi è stata riscontrata una insufficienza renale cronica e da quel momento in poi ho dovuto convivere con ricoveri periodici e bilanciare la mia dieta alimentare, fino ai 17 anni. Di fatto ho saltato a piè pari l’adolescenza e la maturità. Nel bel mezzo dell’esplosione ormonale, carico di sogni di sport, affetto e amicizia, alla maggior età mi hanno confermato le previsioni funeste dei primi anni: la funzione renale era cessata, l’unica soluzione era la dialisi». Stop alla vita spensierata dei coetanei per una ritiro forzato in casa. «Di fatto quell’ambiente divenne il mio ospedale: facevo la dialisi peritoneale tre volte al giorno, mentre i miei amici uscivano a bere una birra».

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UNA NUOVA VITA

La vita di Alberto, di fatto, non era quella che facevano tutti i ragazzi della sua età. «Per quasi due anni non sono più andato a fare una passeggiata in montagna, nessuna vacanza con gli amici, non ho più bevuto alcolici o bibite gassate, non ho più fatto sport: lo studio e la scuola erano il mio passatempo». A fare compagnia c’erano le sacche della dialisi. Ora Alberto è un trapiantato di rene che è tornato ad avere una vita normale: esce la sera, può ordinare pizza e birra al ristorante, passeggiare per i rifugi delle alpi Orobie come sulla spiaggia, ad agosto. «Ma soprattutto faccio sport - racconta - e per questo sono qui con la mia bicicletta. Perché la mia vita, iniziata nel 1974, è sbocciata di nuovo vent’anni più tardi, quando ho incontrato il mio donatore. Da allora ogni giorno il respiro, il battito del cuore, lo sguardo, l’ascolto, il gusto e il sapore sono duplici. Io e il donatore siamo due anime in un corpo solo».

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L’IMPEGNO NEL VOLONTARIATO

«Da allora ho scoperto di non essere l’unico uomo speciale, ho conosciuto l’Associazione Nazionale Emodializzati e con tutti i suoi membri mi sono dato da fare per non tenere nascosto questo dono speciale. Ho gareggiato anche in Sud Africa con la mia bicicletta in una gara su pista ai mondiali delle persone trapiantate. Al traguardo, però, non arrivo mai da solo. Siamo sempre in due: io e il mio donatore di organi».

C’era anche Alberto nello scorso fine settimana alla venticinquesima edizione dei Giochi nazionali trapiantati,ai quali hanno partecipato atleti di tutte le età e con diversi organi trapiantati, provenienti da tutte le regioni d’Italia. Diversi anche i partecipanti che regolarmente si sottopongono a dialisi. Gli atleti si sono confrontati nelle specialità sportive di atletica leggera, nuoto, ciclismo, volley, tennis, tennis da tavolo, bocce. La kermesse aveva un duplice obiettivo, come ha spiegato Valentina Paris, presidente dell’Aned: «Promuovere la terapia del trapianto e della donazione e consolidare l'attività sportiva delle persone affette da insufficienza renale cronica in trattamento dialitico e dei trapiantati di organi e tessuti. Lo sport favorisce il recupero sociale e clinico, oltre al miglioramento della qualità di vita».

Ospite d’eccezione è stato Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, il quale ha sottolineato che «praticare attività sportiva rappresenta, per molti trapiantati, un percorso di recupero e benessere, ma anche un mezzo per testimoniare al pubblico l’efficacia del trapianto». Il Centro Nazionale Trapianti ha verificato l’efficacia dell’attività fisica e sportiva sui pazienti trapiantati, attraverso test e analisi specifiche. S’è così dimostrato che «la funzionalità di un rene trapiantato durante uno sforzo fisico è identica a quella di una persona non trapiantata».

Per dimostrare l’abilità degli atleti, a questa edizione dei Giochi hanno partecipato anche medici e personale infermieristico. Un confronto sportivo che è anche il segno concreto dei benefici che i pazienti possono raggiungere e della calda partecipazione di coloro che lavorano tutti i giorni a fianco ai malati.

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Ma tutto questo non sarebbe stato possibile se non ci fossero i donatori e un dato significativo arriva dal Centro Nazionale Trapianti: nei primi mesi di quest’anno si è assistito ad un incremento del 20% delle donazioni di organo da vivente. La Regione del Veneto da questo punto di vista è sicuramente un modello per il Paese portando avanti una intensa azione a sostegno delle attività di trapianto renale da donatore vivente consanguineo e non.


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