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Denis Curti
pubblicato il 19-10-2020

Art for Peace Award a Joshua Cohen per «Il libro dei numeri»



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Il romanzo dello scrittore americano (con una lettura molto critica della rete) sarà premiato durante la conferenza «Science for Peace and Health»

Art for Peace Award a Joshua Cohen per «Il libro dei numeri»

«If you don’t call it art, you’re likely to get a better result». Joshua Cohen fa sua frase di Brian Eno e si inventa, nel suo fantastico «Il libro dei numeri», uscito negli stati Uniti nel 2015 e portato in Italia nel 2019 da Codice edizioni, il personaggio di  uno sciamano contemporaneo capace di sdoppiarsi e di attraversare il tempo alla velocità del pensiero, per ribadire che oggi conta di più il progetto dell’opera finita.


In realtà, in questa folle narrazione lo sciamano è uno scrittore fallito a cui viene richiesto di scrivere della vita del fondatore della più importante azienda di tecnologia del mondo. Il caso vuole che entrambi portino lo stesso nome: le loro biografie si intrecciano e si confondono. La linea regolare dello storytelling a cui siamo abituati termina qui, perché il libro di Cohen si trasforma in uno strano oggetto capace di assorbire stratificazioni temporali e concettuali: il presente, la storia, Internet, l’ossessione di controllo da parte dei governi, le religioni, il mondo dell’editoria, le aspirazioni degli scrittori, gli amori sofferti.

Quello che emerge con forza - e qui sta la motivazione dell’Art for Peace Award assegnato quest’anno da Fondazione Umberto Veronesi - è la lucidità di Cohen nel farsi carico della funzione inquieta che è propria dell’arte, in questo caso della scrittura, mai come oggi incredibilmente necessaria: quella di mettersi in discussione, dubitare, discutereconfrontarsi. Il libro dei numeri si presenta con una certa fisicità (oltre 700 pagine) all’interno della quale è bello smarrirsi e lasciarsi trasportare anche da una lettura casuale. L’incipit è provocatorio e nel seguito, tra allegorie, avatar e un costante disorientamento, ci si innamora di un rumore di fondo che ci spinge a dubitare della bontà di un Guru Tecnologico, per continuare ad esercitare uno spirito critico.


Insieme alla lettura di questo libro potrebbe essere utile guardare il docudrama «The social dilemma», per comprendere come sia un’illusione che l’ascesa di Internet possa liberaci dai limiti del conoscibile. Gli intermediari delle informazioni, che sono la porta d’accesso a tutte le notizie, ci profilano e filtrano le nostre richieste. Rischiamo di rimanere fossilizzati nelle nostre idee, perché l’algoritmo ci mostra contenuti costruiti su misura per noi.


Sono molte le pagine dedicate a quello che possiamo definire un arido paesaggio fatto di numeri. Non c’è solo nostalgia per la carta stampata, c’è un sincero tentativo di salvare la letteratura da quella velocità rischiosa impressa dagli algoritmi, perchè, ci dice Cohen, la letteratura ci dà l’opportunità di entrare in contatto con il nostro inconscio e di resistere all’alienazione causata dal mondo digitale. In modo quasi sommesso, tra le pagine del volume ci viene ricordato che bisogna ricominciare a leggere i libri, assumendo il rischio di perdersi, di non comprenderne fino in fondo il senso. Come diceva Pessoa: perdersi a guardare.


Nel libro c’è anche rabbia: internet è pervasivo ed è fuori controllo, ha dato origine a un mondo orwelliano, basato sulla sorveglianza e sul controllo totale. Nato con altre ambizioni, ora cospira contro i suoi stessi creatori. È un mondo che non ha un inizio e nemmeno una fine, perché si «autogenera» in continuazione. Proponendo un presente continuo, annulla l’idea di temporalità, i suoi algoritmi sono aridi come il deserto e hanno un potere alienante. In questa realtà post-moderna e post-umana, così disorientante, lo scrittore è un fantasma, un ghostwriter, ai confini dell’esistenza.


Il popolo di Internet vaga nel deserto per trovare la Terra promessa, virtuale e illusoria perché gli algoritmi non sanno annusare l’aria, non sanno sognare e non sanno leggere un libro al posto tuo. Ve lo assicuro: è inutile cercare una sola trama in questo libro di moltitudini, le pagine si fanno specchio e ci parlano di noi.


Denis Curti è direttore artistico della Casa dei Tre Oci di Venezia e presidente del Comitato artistico di Fondazione Umberto Veronesi


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