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Daniele Banfi
pubblicato il 26-07-2022

Quanto dura l'immunità da Covid-19?



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La quantità di anticorpi decresce nel tempo e le reinfezioni sono possibili. Ad ogni nuovo contagio però, complice le cellule T, la malattia è più lieve. La presenza di queste cellule potrebbe durare anni

Quanto dura l'immunità da Covid-19?

Ogni volta che entriamo in contatto con Sars-Cov-2 -che sia per infezione o "vedendo" la proteina spike grazie alla vaccinazione- il nostro corpo comincia a produrre una risposta immunitaria che si conclude con la creazione della cosidetta "memoria immunologica", ovvero la creazione di cellule della memoria capaci di riattivarsi prontamente in caso di nuovo incontro con il nemico. Quanto duri questa "memoria" però varia a seconda del virus che si incontra. Per quanto riguarda Sars-Cov-2 sempre più numerosi studi indicano una durata a lungo termine. Questo non significa che una volta contratto il virus -o vaccinati- non ci si possa ammalare più. Però, l'eventuale nuovo incontro con il virus, produrrà una malattia più lieve. Il merito è in particolare delle cellule T, componenti del sistema immunitario capaci di riconoscere ed eliminare le cellule infettate. A tal proposito, secondo un recente studio pubblicato sulle pagine della rivista Pnas, queste cellule sarebbero ancora rilevabili a due anni dalla prima infezioni. Un risultato che indica la concreta possibilità dell'instaurarsi di una memoria a lungo termine.

COME FUNZIONA LA RISPOSTA IMMUNITARIA?

Quando il nostro corpo viene in contatto con un agente esterno dannoso come Sars-Cov-2 produce una reazione immunitaria composta da due fasi: quella aspecifica -presente già alla nascita e non dipendente da incontri pregressi- e quella specifica, diretta in maniera precisa contro quel determinato agente esterno. Quest'ultima è essenzialmente mediata da due tipi di cellule: i linfociti B e i linfociti T. In entrambi i casi in seguito ad un'infezione o alla vaccinazione si creano specifiche cellule della memoria in grado di attivarsi in caso di incontro con il patogeno.

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IL RUOLO DEGLI ANTICORPI

I linfociti B sono responsabili della produzione di anticorpi, ovvero quelle proteine in grado di riconoscere la proteina spike del coronavirus neutralizzandone l'ingresso nella cellula. La loro presenza è fondamentale soprattutto per evitare di sviluppare la malattia. Impedendo infatti l'ingresso nelle cellule, il virus viene eliminato prima che possa scatenare la malattia. Nel tempo, con i vaccini a mRNA oggi in commercio (Pfizer-BioNTech e Moderna), è apparso chiaro che la produzione di anticorpi indotta dalla vaccinazione diminuiva sensibilmente nella sua capacità di evitare il contagio. Ed è per questo che nei mesi successivi si è optato per consigliare una dose booster negli individui più a rischio.

IL RUOLO DELLE CELLULE T

Mentre gli anticorpi prodotti hanno il ruolo di neutralizzare il virus prima che entri nelle cellule, i linfociti T hanno invece il compito di riconoscere ed eliminare le cellule infettate dal virus. Per questa ragione, pur non prevenendo la malattia, queste componenti sono fondamentali per ridurre la severità di Covid-19. Ecco perché, pur potendosi reinfettare o "fare la malattia" nonostante la vaccinazione, gli esiti dell'infezione sono molto più contenuti rispetto all'affrontare il virus senza alcuna immunità pregressa.

LO STUDIO

Quanto tutto ciò duri però rimane un mistero. Stando a ciò che sta accadendo, ovvero al fatto che nella popolazione le reinfezioni da Covid-19 sono tendenzialmente più lievi rispetto all'infezione primaria, la memoria immunologica sembra persistere per diverso tempo. Uno studio pubblicato su Pnas ha provato ad indagare questo fenomeno: nell'analisi ad opera dei ricercatori del Sahlgrenska University Hospital di Goteborg, gli scienziati hanno indagato la presenza delle cellule T reattive contro Sars-Cov-2. Tale presenza, in seguito all'infezione, perdura per almeno 20 mesi -tempo di osservazione dello studio-. Ma l'utilità delle cellule T non si limita solo all'eliminazione delle cellule infettate dal virus. Un'altra grande capacità di queste cellule, in particolare delle "T-helper" (quelle che sono state rilevate nello studio), è quella di aiutare le cellule B della memoria a produrre anticorpi. Una doppia risposta al virus che consente, in casi di incontro con il virus, di rispondere in maniera tempestiva. E' per questa ragione infatti che nei vaccinati l'infezione può essere combattuta e debellata in tempi molto più rapidi e con un’efficacia molto maggiore rispetto a quanto accade nei non vaccinati.

I PRECEDENTI

Quanto osservato con le cellule T ci fa ben sperare sulla prospettiva di una durata a lungo termine dell'immunità al virus. La speranza è quella di replicare quanto osservato con un altro virus simile, quello della SARS: a 17 anni dall'incontro con il virus, le cellule T della memoria sono ancora presenti in chi ha superato l'infezione.

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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