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Laura Costantin
pubblicato il 12-11-2018

«Attaccare» il tumore della prostata nel suo habitat



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Il microambiente che circonda il tumore prostatico modula il sistema immunitario e regola la progressione della malattia: lo studio di Giuseppina Comito indaga questo legame

«Attaccare» il tumore della prostata nel suo habitat

In Italia il tumore della prostata è la terza causa di morte per cancro nella popolazione maschile, oltre a essere la più frequente neoplasia tra gli  adulti. Nonostante i recenti progressi terapeutici e i tassi di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi superiori al 90 per cento, in alcuni pazienti la malattia evolve in una forma resistente e invasiva, diventando talora fatale.

Le cellule presenti nel microambiente tumorale svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella progressione delle forme più aggressive di questo cancro. Infatti tumore e microambiente si influenzano reciprocamente e, grazie a questa interazione, le cellule cancerose selezionano nel loro habitat quelle caratteristiche che permettono loro di sopravvivere, moltiplicarsi e migrare per colonizzare organi distanti. I meccanismi di questa interazione sono ancora poco conosciuti e sono l’oggetto della ricerca di Giuseppina Comito, ricercatrice dell’Università di Firenze sostenuta da Fondazione Umberto Veronesi attraverso il progetto SAM-Salute Al Maschile.

 

Giuseppina, raccontaci qualcosa di più della tua ricerca.

«Nelle forme più aggressive di cancro alla prostata, le cellule malate sono in grado di riprogrammare le cellule del sistema immunitario - per esempio i linfociti - e disattivare la risposta immunitaria contro il tumore. I fibroblasti associati al tumore (Caf), cellule presenti nel microambiente del cancro alla prostata, hanno un ruolo fondamentale nel promuovere la progressione della neoplasia e sembrano agire proprio modulando il sistema immunitario. Con il mio progetto punto a chiarire il ruolo dei fibroblasti nell’immunosoppressione e come il sistema immunitario “ri-educato” dal microambiente tumorale contribuisca alla progressione del carcinoma prostatico».


I risultati dello studio potrebbero portare ad individuare nuovi bersagli molecolari per la lotta al tumore alla prostata?

«È proprio questa la nostra importante sfida. La comprensione dei meccanismi attraverso i quali il microambiente permette al tumore di evadere la risposta immunitaria permetterà di definire nuovi approcci terapeutici contro il cancro. Si potrà agire sia cercando di inibire lo sviluppo di un ambiente immunosoppressivo sia cercando di ripristinare le capacità del sistema immunitario».

 

Come hai capito che la tua strada era quella della ricerca ?

«Durante il tirocinio per la tesi, passavo intere giornate in laboratorio e ogni settimana aspettavo con ansia il mercoledì: era il giorno dell'esperimento».

 

Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare.

«Uno dei momenti più belli è stato vincere il finanziamento della Fondazione Umberto Veronesi. Non ci credevo, ero felicissima».

 

Qual è il lato più bello della ricerca? E quello più brutto?

«La cosa più bella del mio mestiere è lo stimolo continuo, i risultati inaspettati che si rivelano essere le scoperte migliori. L’aspetto peggiore è sicuramente la mancanza di fondi che non permette ai ricercatori di svolgere al meglio il loro lavoro e la precarietà».

 

La tua famiglia è stata fonte di ispirazione per la tua carriera?

«Sicuramente. I miei genitori mi hanno trasmesso valori come l’onestà e il rispetto, importanti sia nella mia vita personale che professionale».

 

Quando non sei in laboratorio, cosa ti piace fare?
«La cosa che mi piace di più in assoluto è viaggiare. Amo conoscere e interagire con persone di altre culture, immergermi nella vita e nelle tradizioni di un posto. Quest’estate ad esempio sono stata in Mongolia, dove ho vissuto con dei pastori nomadi del luogo».

 

Quando è stata l’ultima volta che hai pianto?

«Recentemente ho pianto tanto per la morte di un caro amico, Silvano.  Il cancro ha colpito anche lui. Silvano nutriva una grande speranza nella ricerca, credeva fortemente nei giovani ricercatori e sicuramente da lassù continua a farlo e a sostenerci».

 

Cosa ti fa arrabbiare?

«L’arroganza e la prepotenza».

 

Il tuo film preferito ?

«“La Ricerca della felicità”. Mi emoziono tutte le volte in cui vedo la scena in cui Will Smith, il padre, dice al figlio “Se hai un sogno, tu lo devi proteggere, quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non lo sai fare, se vuoi qualcosa… vai lì e inseguila!”».

 


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