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Francesca Borsetti
pubblicato il 29-03-2021

Autismo e infiammazione: dai modelli murini al RNA sequencing



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I meccanismi alla base dei disturbi dello spettro autistico sono ancora poco noti e potrebbero essere correlati all’infiammazione di alcune aree cerebrali: la ricerca di Luca Pangrazzi

Autismo e infiammazione: dai modelli murini al RNA sequencing

I disturbi dello spettro autistico (DSA) rappresentano un insieme di disordini neuropsichiatrici, accumunati da una persistente difficoltà nella comunicazione interpersonale e dalla presenza di movimenti ripetitivi. I sintomi si manifestano nella prima infanzia e sono eterogenei e complessi: sebbene siano diversi i fattori genetici associati ai DSA, la comprensione della sindrome non è ancora completa. Studi recenti hanno evidenziato un legame con le disfunzioni del sistema immunitario: l’infiammazione, in particolare, sembra rivestire un ruolo centrale nello sviluppo dei DSA, e studiarne i meccanismi – durante la fase del neurosviluppo – potrebbe essere d’aiuto per individuare nuove strategie terapeutiche. Luca Pangrazzi, biotecnologo e ricercatore presso l’Università degli Studi di Trento, studia l’infiammazione di alcune aree cerebrali in modelli murini affetti da DSA allo scopo di identificare le cellule e le molecole immunitarie coinvolte nel disturbo. Il suo progetto verrà sostenuto per tutto il 2021 grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.

Luca, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«Numerosi studi hanno evidenziato come l’infiammazione contribuisca notevolmente a determinare i disturbi dello spettro autistico. Si è scoperto che i livelli plasmatici di alcune molecole infiammatorie negli individui affetti da DSA sono più alti, e nei pazienti autistici sono stati riportati segni di infiammazione nel cervelletto – un’area importante per la coordinazione dei movimenti, ma implicata anche in funzioni cognitive come attenzione e linguaggio. Inoltre, in modelli animali di ratto, si è osservato che l’infiammazione acuta del cervelletto induce comportamenti simili a quelli dello spettro autistico dell’uomo. Per questi motivi, riteniamo sia interessante studiare nel dettaglio i processi infiammatori impiegando modelli murini di autismo, così da identificare nuove potenziali strategie di intervento nell’uomo. In questo progetto potrò inoltre combinare la mia duplice esperienza nei campi dell’immunologia e delle neuroscienze».

Quali sono gli aspetti ancora da studiare?

«Al momento non è noto quali cellule del sistema immunitario siano implicate nei processi infiammatori del cervello, né nei modelli murini di autismo, né nell’uomo. Le molecole infiammatorie potrebbero essere prodotte sia dalle cellule del sistema immunitario innato, come microglia e macrofagi, sia dalle cellule del sistema adattativo, come i linfociti T. Il ruolo di quest’ultime nello sviluppo dei DSA è ancora completamente inesplorato».

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Come intendete portare avanti il vostro progetto durante quest’anno?

«Impiegando modelli murini di DSA, già ben studiati nel nostro laboratorio, vogliamo avere una panoramica generale dei cambiamenti che avvengono nel cervelletto. Per studiare l’infiammazione di questa specifica area cerebrale, il progetto prevede l’utilizzo di tecniche avanzate come l’RNA sequencing (una tecnica che prevede di determinare la sequenza di un acido nucleico, in questo caso l’RNA, N.d.R.): potremo così confrontare la presenza e la quantità di molecole infiammatorie tra topi sani e malati».

Quali sono le prospettive per la salute dei pazienti con DSA?

«L’analisi dei dati ci permetterà di capire quali cellule del sistema immunitario sono caratterizzate da scompensi infiammatori: identificare le molecole coinvolte nell’infiammazione del cervelletto rappresenta il primo passo per pianificare nuove potenziali strategie terapeutiche nei pazienti con disturbi dello spettro autistico».

Luca, sei mai stato all’estero a fare un’esperienza di ricerca?

«Sì, sono stato sei anni e mezzo a Innsbruck, in Austria, e tre mesi a Losanna, in Svizzera».

Cosa ti ha spinto ad andare?

«Sono andato per mettermi in gioco, ma anche perché, in quel momento, non avevo alcuna possibilità di lavoro in Italia».

Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

«Solo cose positive, nonostante abbia fatto un po’ di fatica a inserirmi all’inizio. Il periodo in Austria è stato uno dei periodi più sereni della mia vita: ho avuto la possibilità di conoscere persone da tutto il mondo, relazionandomi con modi di vivere diversi».

Ti è mancata l’Italia?

«No, tornavo a casa spesso nei weekend e per le vacanze. l’Italia rappresentava per me la serenità e la tranquillità e il lavoro restava sempre al di là del confine».

Hai qualche curiosità che ci vuoi raccontare riguardante il periodo all’estero?

«Durante il primo periodo in Austria, le incomprensioni di certo non sono mancate. Conoscevo il tedesco, ma il dialetto austriaco mi era totalmente oscuro ed era la lingua che si parlava in laboratorio. Anche l’inglese all’inizio mi risultava molto difficile da capire, poiché veniva parlato con un forte accento austriaco. Inoltre, gli austriaci sono generalmente di poche parole. Ci sono voluti alcuni mesi per capire che non erano irritati dalla mia presenza, ma erano abitualmente così».

Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?

«Mi sono sempre interessato molto ai campi della biologia e della medicina, fin dalle superiori. La certezza di voler intraprendere la carriera della ricerca è venuta durante la mia tesi magistrale nel laboratorio del prof. Bozzi, dove tuttora lavoro. Ho avuto la fortuna di iniziare la mia carriera in un laboratorio dove la qualità del lavoro è molto alta e le persone si fidano le une delle altre, mettendosi sempre a disposizione in caso di bisogno. E penso che questo sia il modo migliore per fare ricerca».

Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno da dimenticare.

«Il momento da incorniciare è quando mi è stato conferito il premio per la miglior tesi di dottorato in immunologia di tutta l’Austria. È stato il momento in cui ho capito (magari illudendomi) che tutto sta andando nel verso giusto. Un momento da dimenticare? Quando ho lavorato con i miei colleghi austriaci per diversi mesi su un progetto, prima di capire che c’era un errore sistematico che stravolgeva i risultati. Ma la ricerca è anche questo».

Come ti vedi fra dieci anni?

«Idealmente vorrei essere il responsabile di un gruppo di ricerca».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Riuscire a spiegare dei fenomeni che fino a poco tempo prima erano totalmente incomprensibili».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«Il fallimento degli esperimenti e il fatto di doverli ripetere diverse volte per riuscire a ottimizzarli».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Entusiasmo, divertimento, felicità e successo».

In che modo e da chi potrebbe essere aiutato il lavoro di chi fa scienza?

«Aumentando i finanziamenti pubblici e introducendo contratti più vantaggiosi per i ricercatori, come avviene in Austria, per esempio. Il lavoro degli scienziati dovrebbe essere sostenuto dagli enti di governo».

Percepisci fiducia intorno alla figura del ricercatore?

«Penso che sempre più persone cerchino di avvicinarsi alla scienza, soprattutto in questo periodo di pandemia. La figura del ricercatore sta acquisendo importanza, perché si è capito quanto le conoscenze scientifiche siano fondamentali per sconfiggere malattie come il COVID. Questo potrebbe essere un vantaggio per il futuro, sensibilizzando gli organi di governo sulla necessità di investire maggiormente nell’ambito scientifico».

Luca, cosa fai nel tempo libero?

«Mi piace fare sport e viaggiare».

Qual è il luogo che vorresti visitare almeno una volta nella vita?

«Vorrei vedere il Polo Nord o il Polo Sud: sono parecchio attratto dai luoghi più estremi».

Hai famiglia?

«Si, sono sposato».

E se un giorno uno dei tuoi figli ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?

«Lo o la supporterei al 100% nella sua scelta».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commosso?

«Un po’ di commozione forse l’ho vissuta a giugno, quando è stato possibile riprendere a viaggiare e sono tornato in Austria per qualche giorno. Mi ha fatto capire che anche le cose che riteniamo scontate possono dare grandi gioie».

La cosa di cui hai più paura?

«Sicuramente quella di essere chiuso in casa o essere privato delle libertà personali. Penso che la libertà sia la base della vita e quindi, senza quella, perde il suo senso».

La cosa che ti fa ridere a crepapelle.

«Una serata tra amici».

Una “pazzia” che hai fatto.

«Partire in bicicletta dal Brennero e arrivare a casa dopo 160 km».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Continuate a farlo, per noi ricercatori è fondamentale, soprattutto in questi tempi in cui la carenza di fondi si fa sentire in ogni settore. Con il vostro sostegno, potrete promuovere una ricerca scientifica all’avanguardia nel nostro Paese e dare la possibilità a tante menti brillanti di svolgere il lavoro dei propri sogni senza trasferirsi all’estero».


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