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Laura Costantin
pubblicato il 24-09-2018

Autismo ed epilessia: il possibile ruolo dei batteri intestinali



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Lorena Coretti valuterà come mutazioni di alcuni geni possano influenzare l’asse microbiota-intestino-cervello e la manifestazione di queste malattie

Autismo ed epilessia: il possibile ruolo dei batteri intestinali

I disturbi dello spettro autistico si presentano generalmente durante i primi anni di vita e influenzano lo sviluppo dei soggetti colpiti in misura diversa. I principali sintomi sono rappresentati da difficoltà nello sviluppo delle relazioni sociali e affettive, ripetitività nei giochi e nei movimenti, apatia, problemi nella comunicazione e nel linguaggio. Recenti studi hanno inoltre evidenziato in questi soggetti alterazioni della composizione della flora intestinale - chiamata microbiota. Queste evidenze hanno suggerito che vi sia un rapporto tra cervello e batteri intestinali e che intestino e cervello si influenzino a vicenda. Inoltre un quarto circa dei pazienti affetti da autismo soffre anche di epilessia, le cui cause sono numerose e per la maggior parte sconosciute. In questi pazienti sono state identificate delle mutazioni in specifiche proteine - i canali del potassio - che regolano il passaggio del potassio nella cellula: si tratta di proteine essenziali per consentire una corretta comunicazione tra le diverse cellule del cervello. Nonostante il ruolo chiave di questi canali, ancora non sono noti gli effetti diretti delle loro mutazioni sullo sviluppo di autismo ed epilessia, né sul microbiota intestinale. Su questa relazione sta cercando di far luce Lorena Coretti, che grazie alla Fondazione Umberto Veronesi ha avuto l’opportunità di svolgere le sue ricerche presso l’Università di Malta. 
 

Lorena, puoi dirci qualche cosa in più sul tuo progetto di ricerca?

«Il mio obiettivo è analizzare un modello animale che presenta caratteristiche simili a quelle dei pazienti autistico-epilettici. Si tratta di un topo che ha una mutazione a carico di uno specifico gene, il KCNJ10, che codifica per i canali del potassio e che è stata identificata anche in un sottogruppo di pazienti con disturbo dello spettro autistico e suscettibilità alle crisi epilettiche».  

 

Su quali elementi stai focalizzando la tua ricerca?

«Sto valutando come le mutazioni dei canali del potassio possano influenzare la morfologia della glia (una tipologia di cellule del cervello) e lo sviluppo di comportamenti autistico-epilettici. Inoltre, alla luce delle recenti evidenze in letteratura circa le alterazioni della flora intestinale, mi concentrerò anche sullo studio del microbiota e sull’eventuale coinvolgimento dell’asse microbiota-intestino-cervello nei disordini del neuro-sviluppo. A questo scopo sto analizzando la composizione del microbiota intestinale, la permeabilità intestinale e lo stato infiammatorio dell’intestino e del cervello».

 

Quali prospettive apre questa ricerca per la salute umana?

«I pazienti su cui abbiamo osservato le mutazioni di questi canali del potassio presentano un quadro di autismo associato a una forte suscettibilità a crisi epilettiche. Il progetto permetterà di valutare gli effetti di queste mutazioni sul cervello e il ruolo dell’asse microbiota-intestino-cervello nella patogenesi e nella progressione della malattia in questi soggetti (partendo da un modello animale), aprendo la strada allo studio di nuove strategie terapeutiche al fine di migliorare la qualità di vita dei pazienti».

 

Lorena, in questi mesi sei stata a Malta per portare avanti il tuo progetto. È la tua prima volta all’estero. Quali sono le tue impressioni?

«Questi mesi a Malta hanno significato molto per me, mi hanno arricchito tantissimo sia sul piano professionale che su quello umano. Ho imparato nuove tecniche e mi sono potuta confrontare con altri ricercatori, tutti molto preparati. In più i paesaggi spettacolari di quest’isola hanno fatto da cornice a questa esperienza rendendola indimenticabile».


Cosa ti ha spinto a intraprendere la strada della ricerca?

«La curiosità e l’amore per la natura che mi circonda. Nonostante le difficoltà, oggi penso che non potrei dedicarmi ad altro».

 

E se proprio non avessi fatto la ricercatrice, cosa avresti scelto di fare?

«Da piccola sognavo di fare il medico missionario, per cui credo che avrei tentato di seguire quella strada».

 

Al di là dell’aspetto scientifico, qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca e dà significato alle tue giornate lavorative?

«La possibilità di migliorare la vita di pazienti affetti da particolari patologie».

 

Hai qualche passione al di fuori del laboratorio?

«Amo il mondo sottomarino e durante il tempo libero mi dedico alle immersioni subacquee».

 

Un Paese che vorresti assolutamente visitare?

«Il Perù».

 

Hai famiglia?

«Sono da poco sposata».

 

Se un giorno un tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?

«Gli direi di prepararsi a soffrire con contentezza!».



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