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Neuroscienze

Epilessia: l’innovazione c’è, mancano i percorsi per portarla ai pazienti

In Italia l’innovazione nella cura dell’epilessia c’è, ma resta spesso lontana dai pazienti per mancanza di percorsi e risorse

Negli ultimi anni la ricerca sull’epilessia ha compiuto passi importanti, tanto da promettere un cambio di paradigma nella gestione della malattia. Sono stati identificati centinaia di geni coinvolti nella sua insorgenza e sviluppate terapie mirate per alcune forme genetiche. Tuttavia, almeno nel nostro Paese, non si osserva un miglioramento tangibile per i pazienti. Lo sottolinea Laura Tassi, past president della Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE): «In Italia soffrono di epilessia circa 600.000 persone. Da trent’anni, la percentuale di chi non risponde ai farmaci resta stabile attorno al 30%. Nonostante nuovi farmaci e strumenti diagnostici, il quadro non cambia».

LE TERAPIE DISPONIBILI

Il trattamento dell’epilessia si basa, nella maggior parte dei casi, sull’impiego di farmaci sintomatici, detti anticrisi, che agiscono riducendo la frequenza delle crisi. Questi farmaci non curano la causa della malattia, ma cercano di controllarne i sintomi. Nei pazienti che non rispondono alle terapie farmacologiche, se viene individuata con precisione l’area cerebrale da cui partono le crisi, si può ricorrere alla chirurgia. L’intervento consiste nell’asportazione o disconnessione della cosiddetta zona epilettogena, e può portare a un miglioramento significativo o alla scomparsa completa delle crisi. Tuttavia, non tutti i pazienti sono candidabili all’intervento, a causa della sede troppo estesa, profonda o funzionalmente critica delle aree coinvolte. Quando la chirurgia non è praticabile, si valutano trattamenti alternativi come la stimolazione del nervo vago (con una sorta di pacemaker a livello del collo) o la neuromodulazione cerebrale, mediante elettrodi inseriti direttamente nei nuclei profondi del cervello. «Queste soluzioni, però, riducono solo il 50% del numero delle crisi e solo nel 50% dei pazienti. Si tratta quindi di interventi ancora palliativi», precisa l’esperta.

LE MUTAZIONI ASSOCIATE ALL'EPILESSIA

La nostra conoscenza della patologia è sicuramente migliorata: «Negli anni Novanta erano note due o tre mutazioni genetiche associate all’epilessia, oggi ne conosciamo circa mille». Queste scoperte hanno portato allo sviluppo di nuovi farmaci e al riposizionamento di terapie già usate per altre malattie e di cui si è scoperta l’efficacia nell’epilessia. Un esempio è la sindrome di Dravet, forma di epilessia infantile di cui sono state scoperte le basi genetiche. Tra le terapie proposte ai pazienti c’è la fenfluramina, usata decenni fa contro l’obesità e oggi sorprendentemente efficace in questa sindrome. Un altro caso riguarda i difetti genetici che riducono il trasporto del glucosio attraverso la barriera emato-encefalica, provocando una diminuzione dell’apporto energetico al cervello. «In questi pazienti la dieta chetogenica, ricca di grassi e povera di carboidrati, porta un grande beneficio, perché obbliga il cervello a usare una fonte di energia diversa dal glucosio e mette al riparo i bambini dai danni dovuti alla carenza di energia», spiega l’esperta. Sono poi in corso di sviluppo trattamenti avanzati, come le terapie geniche, che prevedono l’iniezione del gene difettoso nella regione del cervello da cui partono le crisi. Ma gli studi in questo campo sono solo agli inizi.

SCREENING GENETICO PER TUTTI?

Per poter beneficiare al meglio di alcune di queste terapie e approcci, come la dieta chetogenica, la malattia deve essere diagnosticata precocemente. Attualmente la diagnosi di epilessia è clinica: si scopre l’epilessia in seguito alle crisi, analizzando l’attività del cervello. Secondo alcuni esperti, dati questi progressi, bisognerebbe proporre uno screening neonatale che permetta di identificare precocemente l’epilessia e di capire quali siano i geni compromessi e come intervenire. Esistono però diversi ostacoli a questo approccio. «Effettuare uno screening su così tanti geni non è scontato. L’investimento che viene fatto nella prevenzione sanitaria in Italia difficilmente ci consentirà di introdurre uno screening del genere che tra l’altro richiede molto tempo: dal prelievo alla risposta a volte intercorrono sei mesi o un anno», commenta Tassi. Inoltre, c'è una questione etica: la presenza di una mutazione non implica necessariamente che la persona svilupperà la malattia. Rischiamo così di generare ansia in famiglie e bambini che forse non avranno mai una crisi epilettica.

COME USARE L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE?

Dal punto di vista diagnostico, un altro fattore innovativo è l’uso dell’intelligenza artificiale. Posto che la diagnosi avviene tuttora in base alla presenza di crisi e dall’osservazione delle immagini del cervello, l’IA può offrire un supporto nell’analisi degli esami diagnostici. «Il segnale che deriva da un’elettroencefalogramma, o le immagini di una risonanza magnetica al cervello, di una PET o di una TAC cerebrale, possono essere interpretate in modo diverso dai clinici, che non sono sempre esperti di epilessia. Se invece inseriamo in un’IA opportunamente addestrata le immagini e i dati del paziente, possiamo arrivare più facilmente a una diagnosi di epilessia e magari identificare in modo più rapido la causa della malattia e la sede delle crisi».

PDTA ANCORA ASSENTI IN ITALIA

Sono anche in corso numerose ricerche per lo sviluppo di trattamenti avanzati, come le terapie geniche. Ma mentre la ricerca sulla diagnosi precoce e sulle terapie personalizzate per l’epilessia avanza, l’Italia deve affrontare sfide ben più immediate per migliorare la gestione dei pazienti, come il problema dell’assenza di PDTA (Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali) dedicati alla malattia. I PDTA sono strumenti organizzativi che definiscono il percorso completo di cura per una specifica malattia, coordinando tutti i professionisti coinvolti. Servono a garantire qualità, continuità e appropriatezza nell’assistenza, riducendo la variabilità tra territori e strutture. «In Italia solo cinque Regioni si sono dotate di un PDTA per l’epilessia, ma nessuno di questi è stato implementato per carenza di fondi: è come se non ce ne fosse nessuno», osserva l’esperta. D’altra parte, i centri specializzati per l’epilessia si concentrano nel Centro e nel Nord del Paese, provocando un costoso e impattante turismo sanitario. La ricerca internazionale sta quindi aprendo prospettive impensabili fino a pochi anni fa, ma è evidente che queste innovazioni rischiano di rimanere sulla carta senza un sistema sanitario capace di recepirle.

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