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I nostri ricercatori
Matteo Gullì
pubblicato il 12-06-2017

Capire la resistenza alle terapie dei tumori tiroidei



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Alcuni pazienti non mostrano alcuna risposta alle terapie con radio-iodio. Emanuela Minna indaga i meccanismi che stanno alla base di questa resistenza

Capire la resistenza alle terapie dei tumori tiroidei

Il tumore della tiroide è una rara forma di neoplasia che colpisce la ghiandola tiroidea, un piccolo organo localizzato nella parte anteriore del collo e preposto in gran parte al controllo del metabolismo. Si può manifestare a tutte le età e sebbene spesso sia asintomatico, talvolta presenta sintomi quali raucedine, mal di gola, gonfiore dei linfonodi e difficoltà di deglutizione. Il suo decorso può essere benigno o maligno. In ogni caso le probabilità di sopravvivenza alla malattia risultano relativamente alte. Il carcinoma papillare della tiroide, di natura maligna, è il più frequente fra i tumori della tiroide e viene comunemente trattato attraverso rimozione chirurgica. Nei casi particolarmente aggressivi si ricorre inoltre a trattamento con iodio radioattivo, che viene captato dalle cellule della tiroide e utilizzato per la produzione degli ormoni tiroidei, attraverso i quali la ghiandola può espletare le proprie funzioni.


Sebbene abbia ampiamente dimostrato la sua efficacia curativa, non sempre la terapia con radio-iodio è in grado di garantire la sopravvivenza del paziente. Il lavoro della biologa Emanuela Minna, punta proprio a comprendere i meccanismi di resistenza a questa terapia e a mettere le basi per lo sviluppo di soluzioni terapeutiche alternative. Sostenuta da Fondazione Veronesi, la ricercatrice varesina conduce le proprie ricerche presso l'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.


Emanuela, cosa prevede più nello specifico il tuo lavoro di ricerca?

«Il tumore della tiroide è considerato una patologia piuttosto rara, in quanto costituisce meno del 4% di tutti le forme tumorali. Tuttavia, la sua incidenza è quasi triplicata negli ultimi 30 anni e ancora oggi è in continuo aumento. Alcuni pazienti colpiti da carcinoma papillare della tiroide, in particolare, non mostrano alcuna risposta al trattamento con radio-iodio e arrivano a sviluppare forme tumorali più aggressive o malattia recidiva. Per questi pazienti oggi non esistono ancora cure efficaci: l’obiettivo del progetto è proprio quello di indagare le cause della resistenza alla terapia con radio-iodio. A questo scopo confronteremo l’espressione genica - ovvero il processo per cui l’informazione contenuta nel Dna viene convertita in proteine ? dei tumori sensibili e di quelli resistenti al radio-iodio, così da identificare le differenze nell’espressione di geni e microRna (piccole molecole regolatrici dei geni stessi). Questa strategia ci aiuterà ad approfondire la comprensione dei meccanismi di resistenza al trattamento».
 

Quali prospettive apre questo progetto per la conoscenza biomedica ed eventualmente per la salute umana?

«I risultati di questa ricerca non solo potranno fare luce sui fattori coinvolti nella resistenza al radio-iodio, ad oggi ancora poco caratterizzati, ma soprattutto consentiranno di identificare nuovi bersagli per lo sviluppo di terapie più efficaci. Va puntualizzato, inoltre, che l’aver raccolto campioni di tessuto sufficienti per condurre lo studio – considerando la bassissima percentuale di pazienti non responsivi ? costituisce di per sé un successo non irrilevante».

Hai da raccontarci qualche episodio strano o particolare che ti è capitato durante il lavoro?

«Quando sono arrivata nel laboratorio in cui ancora oggi lavoro, era in corso uno studio per la ricerca di marcatori ematici per pazienti con tumore alla tiroide. Insieme a molti colleghi ho partecipato come donatrice volontaria per il gruppo di controllo dei soggetti sani. È così che in seguito ho scoperto di soffrire di una forma di ipotiroidismo autoimmune, detta tiroidite cronica di Hashimoto. Mi sorprendo ancora di questa coincidenza, soprattutto se ripenso al fatto che a portami in un laboratorio che si occupa di tiroide sia stata una pura casualità».
 

C’è un momento della tua vita professionale di cui vai particolarmente fiera?

«L’aver vinto una borsa viaggio per partecipare nel 2014 al congresso della società europea per la ricerca sul cancro a Monaco di Baviera, il mio primo congresso internazionale fuori dall’Italia. Inoltre, questa borsa offerta da Fondazione Veronesi è per me non solo un’occasione di crescita ma anche un importante traguardo personale».
 

Se ti dico scienza e ricerca, qual è la prima parola che ti viene in mente?

«Risposte. Scienza e ricerca sonon mezzo per cercare di dare risposte a fenomeni che ancora non comprendiamo completamente, per capire meglio il mondo che ci circonda e migliorare le nostre vite».
 

Cosa fai nel tempo libero?

«Anche nel tempo libero è la curiosità e la passione per la scoperta a spingermi. Amo visitare posti inesplorati e provare nuovi sapori in cucina. La monotonia è la mia kriptonite».
 

C’è qualche soddisfazione che prima o poi vorresti riuscire a toglierti?

«Vorrei riuscire a esplorare buona parte delle meraviglie del mondo: dai paesaggi spettacolari di National Geographic ai siti Unesco patrimonio dell'umanità».  
 

Cosa o chi riesce a farti ridere a crepapelle?

«Il personaggio di Sheldon Cooper nella serie TV The Big Bang Theory».

 

 


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