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Laura Costantin
pubblicato il 01-07-2019

«Fotografo» il sistema immunitario per battere i tumori del fegato



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Come si comportano i nostri linfociti T nella lotta contro i tumori al fegato? Francesco Andreata prova a fare luce sulla risposta immunitaria grazie a una nuova tecnica di microscopia

«Fotografo» il sistema immunitario per battere i tumori del fegato

Il fegato è il più grande organo del corpo umano e svolge funzioni di vitale importanza per la salute, come lo smaltimento delle sostanze di scarto dal sangue e la produzione di bile e altri enzimi necessari alla digestione. Anche le cellule di quest’organo possono mutare e dare origine a una massa tumorale. La forma più comune di cancro del fegato negli adulti è il carcinoma epatocellulare, ma il tumore epatico può essere la conseguenza di metastasi che originano in altri organi (come colon, pancreas e mammella) per poi invadere questa sede successivamente. Negli stadi iniziali il cancro al fegato non dà sintomi e la maggior parte delle diagnosi avviene in una fase tardiva della malattia. Anche per questo i tassi di sopravvivenza per questo tumore sono ancora inferiori rispetto ad altre neoplasie, rappresentando la quarta causa di morte per tumore nella popolazione maschile in Italia.

 

Studi recenti hanno dimostrato che i linfociti T del sistema immunitario hanno un ruolo fondamentale nella protezione del fegato contro il cancro. Queste cellule, infatti, sono in grado di migrare all’interno del fegato dove riconoscono e uccidono le cellule tumorali. Questo meccanismo viene sfruttato anche dalle attuali terapie immunologiche, che stanno dando risultati incoraggianti anche nel trattamento del cancro al fegato in fase avanzata. Comprendere meglio i meccanismi che regolano l’azione di difesa dei linfociti T potrebbe dunque essere utile per mettere a punto nuove strategie terapie. Questo l’obiettivo di Francesco Andreata, ricercatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano che, grazie al supporto di Fondazione Umberto Veronesi, sfrutta un’innovativa tecnica di microscopia per studiare il comportamento delle cellule T all’interno della massa tumorale del fegato.

 

Francesco, come funziona il microscopio che vuoi utilizzare per la tua ricerca?

«La microscopia intravitale a due fotoni è una tecnica ad altissima risoluzione che permette di osservare in tempo reale il comportamento delle cellule all’interno di organi e tessuti in vivo, cioè direttamente nell’organismo. In questo modo è possibile vedere lo sviluppo e l’evoluzione delle malattie invece che ricostruirle a posteriori, una vera rivoluzione per la ricerca biomedica».

 

In pratica potrai osservare tutti i movimenti delle cellule come se guardassi un film: c’è qualche meccanismo che intendi osservare nel dettaglio?

«Il mio obiettivo è studiare il comportamento del sistema immunitario mentre cerca di eliminare le cellule tumorali del fegato in un modello animale di carcinoma epatico. In questo modo vorrei individuare i meccanismi molecolari e cellulari che guidano i linfociti T verso la massa tumorale e le modalità utilizzate per riconoscere e uccidere le cellule cancerose».

 

Quali sono le possibili applicazioni per la cura dei pazienti?

«L’immunoterapia, l’uso di cellule del sistema immunitario opportunatamente modificate contro i tumori, sta dando risultati importanti anche contro il tumore al fegato, ma sono ancora molte le sfide da affrontare. Per superare questi ostacoli è fondamentale comprendere come il sistema immunitario combatte le cellule tumorali e i motivi, che in alcuni casi, lo portano a fallire in questo compito. L’osservazione diretta e in tempo reale del comportamento dei linfociti T potrebbe contribuire significativamente nel darci risposte e sviluppare terapie più efficaci».

 

Francesco, parliamo ora un po’ di te: hai una giornata tipo sul lavoro?

«Il bello del mio lavoro è proprio che non esiste una giornata uguale all’altra.  Gli esperimenti sono sempre diversi, può capitare di cominciare a lavorare all’alba e finire a notte fonda. Mi è capitato più di una volta di passare l’intera notte ad acquisire dati».

 

Hai vissuto in Francia per cinque anni. Vuoi raccontarci qualcosa di più di quest’esperienza?

«Tutto è iniziato con una doppia laurea in genetica e biotecnologie, una bellissima iniziativa dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca in collaborazione con l’università di Parigi-Diderot, dove poi ho conseguito anche un master e la laurea magistrale».

 

Come mai dopo la laurea hai deciso di rimanere in Francia?

«L’esperienza della doppia laurea è stata fantastica: così ho deciso di fermarmi e intraprendere un dottorato di ricerca in immunologia alla Sorbona di Parigi. È stato un periodo molto costruttivo della mia vita, ho avuto maestri e colleghi che mi hanno insegnato molto e ho instaurato delle amicizie che mi porterò dietro per sempre. In più ho imparato una terza lingua».

 

Cosa ti ha spinto a scegliere la strada della ricerca?

«Sono affascinato dal fatto che l’uomo possa comprendere la realtà a fondo e ottenere le informazioni necessarie per rispondere a bisogni concreti. Non è forse incredibile che per far passare il mal di testa basti prendere una semplice aspirina? Tutto questo è possibile grazie alla ricerca. Pensare che ci sia ancora un’infinità di cose da scoprire è uno stimolo a fare ogni giorno di più».

 

Se guardi fuori dal tuo mondo, percepisci un sentimento antiscientifico in Italia?

«Purtroppo sì, e penso che sia dovuto in parte da un uso sbagliato dei social network. Sono convinto che una divulgazione scientifica ben fatta sia necessaria per spiegare temi scientifici complessi che possono generare paure e incertezze».


Francesco, fuori dal laboratorio quali sono i tuoi hobby?

«Da quando ho smesso di fumare, ho scoperto la bellezza della corsa. Mi sto allenando e quest’anno vorrei fare la Stramilano».

 

Ancora non hai famiglia ma se un giorno tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole fare ricerca, come reagiresti?

«Lo supporterei in ogni modo».

 


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