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Francesca Borsetti
pubblicato il 13-02-2023

Medulloblastoma: la risposta allo stress nelle cellule staminali



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I meccanismi molecolari alla base dello stress indotto dalle terapie tradizionali potrebbero aiutare a comprendere la progressione della malattia: la ricerca di Luana Abballe

Medulloblastoma: la risposta allo stress nelle cellule staminali

Il medulloblastoma è un tumore cerebrale che si sviluppa nella parte posteriore del cervello, una regione nota come cervelletto: si tratta di uno dei tumori cerebrali più comuni in età pediatrica e in Italia colpisce circa 7 bambini su un milione.

Il trattamento del medulloblastoma di solito include una combinazione di intervento chirurgico, radioterapia e chemioterapia. Le cellule staminali hanno un ruolo chiave nella biologia del medulloblastoma, poiché sono implicate nella formazione e nella progressione del tumore e perché sono importanti nel determinare la resistenza alle terapie. Occorrono quindi ulteriori sforzi scientifici per migliorare la prognosi e la qualità di vita dei pazienti.

Luana Abballe è ricercatrice presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove studia la risposta delle cellule staminali tumorali allo stress indotto dalle terapie. Il suo lavoro potrebbe aprire la strada all’individuazione di nuove strategie terapeutiche contro il medulloblastoma, in grado di colpire selettivamente la componente staminale del tumore. Il progetto sarà sostenuto per il 2023 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto GOLD for Kids.

 

Luana, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«L’idea nasce dalla ricerca di farmaci specifici che colpiscano selettivamente le cellule staminali del medulloblastoma».

Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?

«Per ampliare la nostra conoscenza sulle vie di sopravvivenza della componente staminale, in modo da usarle per sviluppare una strategia farmacologica mirata, anche in combinazione con le terapie convenzionali (chemioterapia e radioterapia)».

Qual è lo scopo della vostra ricerca?

«Vogliamo testare la capacità di una terapia di colpire specificatamente le cellule staminali del tumore».

Come intendete condurre il vostro progetto quest’anno?

«Intendiamo studiare l’efficacia di un farmaco, in monoterapia o in combinazione con chemioterapia, per capire se sia in grado di compromettere la sopravvivenza delle cellule staminali tumorali e del tumore in toto. La ricerca comprenderà esperimenti in vivo su modelli murini della malattia».

In che modo la vostra ricerca potrebbe avere ripercussioni applicative per la salute umana?

«Le prospettive a lungo termine saranno quelle di individuare farmaci in grado di colpire selettivamente la componente staminale del tumore e agire in sinergia con terapie che invece attaccano la componente tumorale più differenziata».

Luana, perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«Perché mi piace comprendere la ragione dietro le cose. La scienza ti consente di avere molte risposte e anche molti dubbi: quest’ultimi spingono i ricercatori a studiare e cercare risposte alle innumerevoli nuove domande».

C’è un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare?

«Sicuramente un momento molto importante per me è stato il conseguimento del dottorato di ricerca».

E un momento da dimenticare?

«Di momenti “brutti” ce ne sono tanti: passiamo dall’essere studenti a lavoratori senza rendercene conto. Da una parte è bello, perché continuiamo a fare quello che ci piace, ma dall’altra ci si accorge che nella vita del ricercatore ci sono anche aspetti economici e sociali difficili da gestire».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La sensazione di appagamento quando riesci a portare a casa un buon risultato».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«Lo sconforto e la precarietà che fanno parte del nostro lavoro».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Avanzamenti nella cura del cancro».

Una figura che ti ha ispirato nella tua vita personale?

«Jane Eyre».

Qual è il messaggio che ti ha lasciato?

«Le nostre origini ci hanno permesso di essere quello che siamo e vanno difese. Siamo abbastanza forti da poter combattere e migliorare la nostra vita».

Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?

«La scrittrice».

Qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca e dà un significato alle tue giornate lavorative?

«Pensare che un giorno si riusciranno a salvare più vite: ci riusciremo, è solo una questione di tempo».

In cosa, secondo te, può migliorare la scienza e la comunità scientifica?

«Nella comunicazione: le persone spesso non capiscono quello che facciamo e di conseguenza non credono nella scienza e non investono in questa».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Non c’è un sentimento antiscientifico, ma un problema di comunicazione».

Cosa fai nel tempo libero?

«Pilates, leggo e vado al cinema».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?

«Quando è nata la figlia della mia migliore amica».

La cosa che ti fa ridere a crepapelle?

«I film di Troisi».

Il libro che più ti piace o ti rappresenta?

«Jane Eyre».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Che il loro contributo per noi è essenziale: lo è dal punto di vista economico, perché finanziano direttamente i nostri studi, e lo è dal punto di vista personale, perché sapere di essere sostenuti dall’esterno ci dà una carica in più per lavorare e cercare nuove cure».

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