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Chiara Segré
pubblicato il 15-10-2018

Quando il tumore al seno è «equivoco»



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La biotecnologa Laura Annaratone studia i tumori al seno delle pazienti con positività a HER2 incerta, per capire se le terapie anti-HER2 siano indicate o meno

Quando il tumore al seno è «equivoco»

Gli anni Novanta del secolo scorso hanno segnato una svolta nella terapia del tumore al seno, il più comune al mondo nelle donne: la diffusione nella pratica clinica di farmaci a bersaglio molecolare, i cosidetti anticorpi monoclonali, ossia farmaci in grado di riconoscere selettivamente e colpire in modo specifico HER2, una proteina presente in grandi quantità sulla superficie delle cellule tumorali. In questo modo permettono di limitare al massimo gli effetti collaterali della chemioterapia classica ed essere più efficaci nel trattamento della patologia.

Uno dei più utilizzati è il trastuzumab, indicato però nel trattamento di tumori che producono grandi quantità di HER2, che rappresentano solo il 25% di tutti i tumori al seno e che si definiscono HER-2 positivi. L’identificazione di HER2 è fondamentale per definire se una paziente può beneficiare di una terapia con farmaci anti-HER2. Esistono però dei casi in cui anche dopo i due successivi esami non è chiaro, persino all’occhio dell’anatomopatologo, se il tumore sia o meno positivo per HER2. In questo caso si parla di tumori «doppi equivoci» e rappresentano una sfida per gli oncologi che, a fronte di un risultato incerto, devono decidere se trattare o meno la paziente con trastuzumab, o analoghi, senza sapere se la terapia sarà davvero efficace o meno. Capire meglio la biologia di questa sottoclasse di tumoro al seno è molto importante per fornire ai medici informazioni più accurate per guidarli nella scelta terapeutica migliore da offrire alle pazienti. Di questo si occupa Laura Annaratone, ricercatrice all’Università di Torino sostenuta nell’ambito del progetto Pink is good.

 

Laura, in cosa consiste di preciso la tua ricerca?

«Studio i tumori della mammella con stato di HER2 doppio-equivoco per poterli meglio classificare e capire se esiste un razionale biologico per poterli trattare con i farmaci anti-HER2. Attraverso metodiche di biologia molecolare valuto diverse molecole, come RNA e proteine, per capire se in questi tumori la via di segnalazione molecolare presieduta da HER2 è attiva, e quindi se i farmaci potrebbero avere efficacia, o se intervengono altre vie di segnale. In una seconda fase utilizzerò un sistema capace di isolare singole cellule in casi con variabilità genetica di HER2, per indagare distinte sottopopolazioni di cellule tumorali. Lo studio è effettuato su una casistica di carcinomi mammari con follow-up clinico, in modo da poter correlare i dati molecolari e genetici col sottotipo molecolare e col rischio di recidiva».

 

Quali prospettive apre per le applicazioni alla gestione delle pazienti?

«I risultati avranno un grande impatto sia sul processo diagnostico che sulla definizione della terapia in tutti quei casi in cui dagli esami non è chiaro se un tumore al seno è positivo o no alla proteina HER2. Aiuteranno i medici a capire se in certi casi è richiesto un ulteriore passaggio diagnostico e a razionalizzare l'uso della terapia anti-HER2, favorendo una maggiore precisione delle terapie bersaglio ed evitando sovra-trattamenti ed effetti collaterali in pazienti con tumori magari meno responsivi».  

 

Quando hai capito che la tua strada era quella della scienza?

«A sei anni ho chiesto un microscopio come regalo di Natale. Crescendo ho acquisito la consapevolezza di voler fare della ricerca il mio lavoro».

 

Come ti vedi fra dieci anni?

«Spero di fare ancora ricerca, con lo stesso entusiasmo e passione».

 

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La ricerca è creatività, confronto e continuo arricchimento. Una sfida con le proprie capacità e limiti. Fare ricerca significa trovare sempre uno stimolo per andare avanti, nonostante gli insuccessi e le difficoltà, con la consapevolezza che ci sia sempre qualcosa di nuovo da comprendere. È una vera e propria scuola di vita».

 

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?

«Non ho mai pensato a un lavoro diverso. Ho sempre cercato di fare quello che amo ed è per questo che cerco di portare avanti la mia ricerca con dedizione e serietà».

 

Cosa ne pensi dei complottisti e delle persone contrarie alla scienza per motivi ideologici?

«Credo che certe convinzioni siano il frutto di mancanza di informazione. La divulgazione è uno degli strumenti che abbiamo a disposizione per mettere tutti nella condizione di poter comprendere, con più facilità, argomenti molto complessi».


Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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