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Ilenia Bertoni
pubblicato il 25-10-2022

Tumore al seno: studiare le resistenze per migliorare le terapie



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I tumori al seno in fase avanzata possono "eludere" anche le terapie più recenti. Antonino Belfiore studia i meccanismi alla base della comparsa di resistenza alle cure

Tumore al seno: studiare le resistenze per migliorare le terapie

Con oltre 50 mila nove diagnosi ogni anno, il tumore al seno è la neoplasia femminile più frequente in Italia. Il 70% dei casi presenta recettori ormonali sulla superficie delle cellule tumorali, e per questo viene definito ER+ (hormone receptor-positive). Questa informazione è di fondamentale importanza nella pratica clinica, poiché permette al medico di orientarsi verso una specifica terapia: nello specifico, il trattamento di prima linea per i tumori ER+ è rappresentato dalla terapia ormonale che abbassa il livello di estrogeni (o blocca i loro recettori) limitando la crescita tumorale. In caso di trattamenti prolungati nel tempo, tuttavia, è possibile che il tumore sviluppi resistenze ai trattamenti di prima e seconda linea. Questo processo è particolarmente importante nei tumori ER+ avanzati, cioè non rimuovibili chirurgicamente o diffusi oltre la sede iniziale, storicamente più difficili da curare.

La sopravvivenza di pazienti con il cancro al seno ER+ è aumentata grazie all’introduzione di inibitori di proteine chiamate “chinasi”, che regolano la progressione del ciclo cellulare (CDK4/6): si tratta di farmaci di nuova generazione per il tumore della mammella ormone-sensibile, spesso usati in combinazione con trattamenti anti-estrogeni di prima linea. Tuttavia, nonostante i progressi, parte di questi tumori risultano insensibili a questo trattamento e il tumore continua a progredire. Antonino Belfiore è ricercatore presso la Fondazione IRCCS - Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dove studia i meccanismi di resistenza al trattamento in risposta ai nuovi farmaci inibitori di CDK4/6, e il suo lavoro è cruciale per sviluppare trattamenti su misura. Il suo progetto è sostenuto nel 2022 da una borsa di ricerca di Fondazione Veronesi nell’ambito del progetto Pink is Good.

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Antonino, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«L’idea si inserisce all’interno della progettualità del nostro gruppo di ricerca. Negli anni abbiamo acquisito molta esperienza sulla caratterizzazione molecolare (cioè particolari caratteristiche delle molecole del tumore, N.d.R.) di pazienti con tumore ER+ della mammella».

Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?

«Abbiamo scelto di considerare i tumori ER+ della mammella metastatici e in stadio avanzato poiché, nonostante i grossi passi avanti fatti fino a oggi sulla personalizzazione delle terapie, una parte di queste malattie rimane incurabile».

Quali sono gli aspetti poco noti da approfondire?

«Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi rivolti all’identificazione di mutazioni a carico del DNA e a seguito di trattamenti in prima e seconda linea di tumori ER+ avanzati. Nonostante si siano raccolte informazioni molto preziose in base al profilo mutazionale espresso, molti dei meccanismi di progressione tumorale durante le terapie di seconda linea rimangono ancora sconosciute. Per questo motivo un’analisi dei trascritti provenienti dalle cellule tumorali (cioè delle molecole di RNA prodotte, che rispecchiano i geni “attivati”, N.d.R.) potrebbe ulteriormente far luce su alcuni meccanismi dei tumori avanzati ER+. In particolare, queste informazioni potrebbero spiegarci perché queste popolazioni tumorali continuino a proliferare durante trattamento chemioterapico, perché riescano ad acquisire resistenza. Infine, potremmo anche identificare nuove vie di segnalazione cellulari da “colpire” per limitare l’avanzamento della patologia».

Come intendete portare avanti il vostro progetto?

«Nel corso dell’anno raccoglieremo campioni freschi e congelati di 25 pazienti prima dell’inizio della terapia in seconda linea con inibitori anti CDK4/6. Su questi campioni verrà effettuata un’analisi trascrittomica (che valuta tutti gli RNA di una cellula nel suo complesso, N.d.R.) rivolta a identificare quali geni vengono espressi dal tumore e dal suo microambiente prima e dopo l’inizio della terapia anti CDK4/6».

Quali sono le possibili applicazioni per la salute umana?

«Nonostante l’efficacia del trattamento con inibitori di CDK4/6, una piccola parte dei tumori ER+ avanzati risultano insensibili. Nel corso degli anni, la ricerca si è concentrata principalmente sulle analisi genetiche di questo gruppo di neoplasie, delineando meglio quali sono le mutazioni che conferiscono resistenza a seguito di terapia ormonale. Al momento, però, non è ancora chiaro quali siano i meccanismi che conferiscono resistenza al trattamento con inibitori di CDK4/6. Queste informazioni potrebbero permetterci di affinare la terapia ed estenderla ad altre pazienti».

Antonino, sei mai stato all’estero a fare un’esperienza di ricerca?

«Sì, ho trascorso un periodo, purtroppo non molto lungo, presso l’Imperial College di Londra, nel laboratorio del prof. Magnani».

Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

«L’esperienza è stata molto stimolante dal punto di vista formativo. Interfacciarsi con un team di scienziati provenienti da diverse parti del mondo è stata un’occasione unica per confrontarmi personalmente e professionalmente con delle persone molto valide. La differenza che ho notato di più è l’approccio alla ricerca che si ha all’estero. I ricercatori, per quanto ho potuto constatare nella mia breve esperienza, sono considerati una risorsa preziosa all’interno delle strutture e vengono incentivati non solo economicamente, ma anche professionalmente a continuare, nonostante il nostro lavoro alcune volte porti con sé più delusioni che successi».

Ti piacerebbe ritornare?

«Mi piacerebbe di nuovo ripetere quest’esperienza portando avanti un progetto interamente mio».

Ricordi l’episodio in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?

«Ricordo il momento in cui rinunciai a una borsa di studio che si sarebbe tramutata in un contratto a tempo indeterminato in un laboratorio di diagnostica, per intraprendere la difficile e precaria vita da ricercatore presso l’Istituto nel quale attualmente lavoro. Nonostante le mille difficoltà, non me ne sono mai pentito!».

Come e dove ti vedi fra 10 anni?

«Non saprei. Il mio desiderio sarebbe quello di essere un Principal Investigator, ossia il ricercatore responsabile di un progetto all’interno di un gruppo di ricerca d’eccellenza. Magari con una sicurezza economica che, nel tempo, non mi porti a rinunciare a questo lavoro per una fonte di guadagno più stabile».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«La cosa che mi stimola di più e che mi fa amare questo lavoro è la sua difficoltà. Non è sicuramente un lavoro ripetitivo, bisogna sempre cimentarsi con nuove sfide e nuove difficoltà».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«L’ansia dovuta alla precarietà dei nostri contratti».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Progresso, innovazione, bene comune».

Antonino, c’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale?

«Nel mio breve periodo come borsista presso l’Istituto Europeo di Oncologia ho partecipato ad alcuni esami su pazienti del Prof. Umberto Veronesi. Oltre all’emozione provata nell’interagire, anche se marginalmente con lui, ricordo l’attenzione e la professionalità che dimostrava per i pazienti. Dal punto di vista della ricerca ho tratto ispirazione dall’impegno e dalla dedizione della dott.ssa Silvana Pilotti, per la quale ho avuto l’onore di lavorare nell’Istituto in cui attualmente svolgo la mia attività».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Non credo ci sia un sentimento antiscientifico in Italia. Credo solo che la maggior parte degli italiani, e purtroppo anche delle istituzioni, rimanga indifferente di fronte alla scienza, salvo poi fare proclami quando, dopo infinite difficoltà, si ottengono risultati importanti».

Antonino, cosa fai nel tempo libero?

«Ultimamente ho poco tempo libero, ma in passato ho giocato a basket a livello agonistico».

Hai famiglia?

«Tra qualche mese mi sposerò».

Se un giorno tuo figlio ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti e cosa gli diresti?

«Ne sarei indubbiamente fiero, ma credo che lo incentiverei a trasferirsi all’estero, qualora prendesse questa strada».

Una cosa che vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita?

«Non sono mai stato in Giappone e ci voglio assolutamente andare».

Sei felice della tua vita?

«Nonostante gli alti e i bassi sono più felice che scontento e più soddisfatto che insoddisfatto».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Grazie! Perché il nostro è un Paese dove tutti si congratulano a parole con i ricercatori. Voi che partecipate sostentandoci economicamente, ci permettete di svolgere il nostro lavoro per il bene di tutti!».

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