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Francesca Borsetti
pubblicato il 20-03-2023

Una strategia innovativa contro il tumore del pancreas



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Lo studio del metabolismo tumorale potrebbe aprire la strada a nuove opportunità terapeutiche per l’adenocarcinoma del pancreas: la ricerca di Chiara Borsari

Una strategia innovativa contro il tumore del pancreas

Il tumore del pancreas è una forma di cancro molto aggressiva, che nel 2020 ha colpito circa 14.000 persone in Italia. Spesso la diagnosi arriva quando la malattia è già in fase avanzata, quando è più difficile da trattare, a causa di alterazioni che provocano una rapida proliferazione cellulare e lo sviluppo di metastasi. Le cellule tumorali sono capaci di assumere glucosio – il principale zucchero del sangue - a una velocità superiore rispetto a quella delle cellule sane. Per questo motivo, il metabolismo del glucosio potrebbe rappresentare un potenziale bersaglio terapeutico per contrastare la progressione del tumore pancreatico.

Chiara Borsari è ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano, dove studia la possibilità di “bloccare” selettivamente un enzima chiave coinvolto nel metabolismo degli zuccheri, attraverso una innovativa strategia chimica. Il suo progetto sarà sostenuto per il 2023 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.

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Chiara, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«L’idea nasce dalla necessità di sviluppare nuove molecole per colpire il tumore al pancreas e per approfondire il ruolo delle “alterazioni metaboliche” nella rapida crescita e progressione del tumore. Nel nostro gruppo abbiamo le competenze per combinare il disegno e la sintesi (progettazione e produzione N.d.R.) di nuovi farmaci sperimentali con tecniche di biologia cellulare, in modo da sperimentare i nuovi composti su cellule di tumore al pancreas».

Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?

«Sappiamo che il glucosio, il principale zucchero presente nel sangue, è la “benzina” del tumore al pancreas. Le cellule cancerose utilizzano una quantità di glucosio molto maggiore rispetto alle cellule sane e così crescono rapidamente. Il nostro obiettivo è quello di colpire in modo selettivo un enzima chiave coinvolto nel metabolismo degli zuccheri».

Quali sono gli aspetti poco noti da approfondire?

«Sebbene sia nota la dipendenza della cellula tumorale dal glucosio, non si conosce ancora il ruolo specifico dei diversi enzimi coinvolti nel suo metabolismo, nell’insorgenza e nella progressione del tumore. Le nostre molecole consentiranno di studiare i meccanismi alla base della rapida progressione del tumore al pancreas, aprendo la strada a nuove opportunità terapeutiche».

Come intendete portare avanti il vostro progetto quest’anno?

«Durante questo anno andremo a disegnare e sintetizzare nuovi inibitori chiamati “covalenti”, cioè molecole in grado di formare un legame irreversibile tra l’inibitore (il farmaco) e la proteina bersaglio. Le molecole verranno sperimentate per la loro capacità di bloccare l’enzima bersaglio e per la loro attività antitumorale in linee cellulari di tumore al pancreas. La nostra strategia chimica innovativa permetterebbe di inibire il metabolismo degli zuccheri, colpendo le cellule tumorali in modo selettivo».

Quali prospettive apre, anche a lungo termine, per la conoscenza biomedica e per la salute umana?

«Il nostro lavoro permetterà di validare nuovi bersagli molecolari per colpire le cellule tumorali e i nostri farmaci sperimentali faranno luce sulle basi molecolari responsabili dell’aggressività del tumore al pancreas».

Sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?

«Sì, dopo il dottorato sono stata più di cinque anni presso l’Università di Basilea, in Svizzera, dove ho lavorato allo sviluppo di nuovi agenti antitumorali. Anche prima di conseguire il dottorato ho fatto ricerca all’estero: sono stata ospite della De Montfort University a Leicester in Inghilterra, poi alla National Hellenic Research Foundation di Atene e infine alla State University of New York negli Stati Uniti».

Cosa ti ha spinto ad andare?

«La passione per la ricerca e la voglia di imparare. Credo che il modo migliore per crescere dal punto di vista professionale - ma anche personale - sia mettersi in gioco: uscire dalla propria “confort zone” per imparare nuove tecniche, diverse lingue e creare un network a livello internazionale».

Cosa ti hanno lasciato queste esperienze?

«Difficile descrivere in poche parole l’immenso bagaglio che mi ha lasciato questo lungo periodo all’estero. Sicuramente ho imparato tante cose dal punto di vista scientifico, ma anche a lavorare in un ambiente dinamico e multiculturale, a creare un team vincente, a insegnare in una lingua straniera, a supervisionare studenti e a farli crescere nel loro percorso di ricerca. La mia esperienza all’estero mi ha anche lasciato collaborazioni importanti e amicizie profonde».

Ti è mancata l’Italia?

«Ovviamente mi è mancata la mia famiglia, che però mi ha sempre sostenuto nell’inseguire i miei sogni. Il mio obiettivo era di ritornare in Italia con le conoscenze acquisite e fare ricerca qui, nel nostro Paese. E ci sono riuscita».

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«Ho deciso di fare ricerca per contribuire in prima persona al progresso scientifico».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Che non si finisce mai di imparare. Ogni giorno puoi scoprire nuove cose e questo è molto stimolante».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Passione e perseveranza».

C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita professionale?

«Rita Levi Montalcini».

Qual è il messaggio più importante che ti ha lasciato?

«Rita Levi Montalcini diceva: “La scelta di un giovane dipende dalla sua inclinazione personale, ma anche dalla fortuna di incontrare un grande maestro”. Io ho avuto questa fortuna: ho incontrato supervisori che mi hanno sempre sostenuto e motivato nel fare ricerca. Spero anche io di diventare un “grande maestro” per le generazioni future di scienziati».

In cosa, secondo te, può migliorare la scienza e la comunità scientifica?

«Nella comunicazione con la società civile. Credo fortemente nell’importanza di coinvolgere il pubblico generale nei successi scientifici e negli avanzamenti della ricerca. La comunicazione scientifica può generare supporto per la ricerca e può far sì che le persone abbiamo fiducia e speranza nella scienza».

Hai avuto modo di metterti in gioco anche in questo ambito?

«Ho partecipato in prima persona a un “Science Film Hackathon” a Basilea. Insieme a un team di registi, abbiamo creato un cortometraggio per spiegare la differenza tra chemioterapia e terapie mirate e lo scopo della mia ricerca. Inoltre sono stata recentemente eletta “Science Communication Coordinator” di un network europeo. Questo mi consentirà di imparare e mettere in atto strategie per una comunicazione efficace non solo con i ricercatori, ma anche con il resto della società. Ad esempio, a marzo andrò a Bruxelles per un corso sullo “Storytelling”. Come diceva Anne Roe: “Niente nella scienza ha alcun valore nella società se non viene comunicato”».

Cosa fai nel tempo libero?

«Mi piace leggere e fare sport. Inoltre mi piace contribuire alla formazione di giovani scienziati come me. Per i prossimi due anni sarò il presidente del network dei giovani per la Federazione Europea per Chimici Farmaceutici. Nel tempo libero, organizziamo diverse attività per motivare e ispirare i giovani scienziati e creare un network di sopporto. Abbiamo anche scritto un editoriale per far capire a tutti l’importanza della diversità - di genere, cultura e formazione - nel mondo nella ricerca».

Hai famiglia?

«Vivo con il mio compagno, che pur non lavorando nel campo della ricerca, mi supporta in tutte le mie attività scientifiche. Ci sposeremo a giugno!».

C’è una cosa che vorresti assolutamente vedere almeno una volta nella vita?

«Valgono anche le cose impossibili? Vorrei vedere la cerimonia di consegna dei Nobel a Stoccolma e sentire di persona i discorsi di ispirazione dei vincitori».

Con chi ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?

«Assolutamente con Marie Sk?odowska-Curie e farmi raccontare la sua storia, di come ha cambiato il panorama delle ricerche e delle cure mediche, ma anche il volto della scienza e l’idea della donna».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Grazie di cuore! La ricerca è il motore del futuro e le donazioni sono il motore del lavoro dei ricercatori. Ogni passo fatto oggi consente di aumentare la conoscenza scientifica e contribuirà a un futuro migliore per tutti».

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