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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 23-08-2018

Cosa c’è nel cervello di chi ricorda tutto?



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La memoria è un tema centrale della ricerca, ma di solito si studia chi ne ha poca. Ora un gruppo italiano ha sottoposto a una risonanza magnetica otto «ipermemori», scoprendo quali aree cerebrali si attivano con i ricordi

Cosa c’è nel cervello di chi ricorda tutto?

Di memoria si parla molto. Di solito se ne lamentano i deficit. E molti scienziati si dedicano allo studio della «macchina dei ricordi» per capire dove si inceppa. Ma tutti cercano di carpirne i segreti indagando sui casi di scarsa memoria e di declino cognitivo legato all’età. In Italia, invece, un gruppo di ricercatori ha ribaltato il punto di partenza: studiando quelli che ricordano «troppo». Li chiamano «ipermemori» e hanno presente ogni giorno della loro vita, ogni particolare di anni o giorni fa, nei dettagli, anche se sono stati giorni grigi, senza storia. Si tratta di un numero molto esiguo di persone con una «ipermemoria autobiografica» e ora otto di loro sono stati sottoposti a uno studio di risonanza magnetica funzionale, nel tentativo di comprendere i meccanismi neurobiologici alla base di tale straordinaria capacità. 


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ANTICHI RICORDI IN DETTAGLIO 

Lo studio, condotto sperimentalmente presso la Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma, coordinato da Valerio Santangelo, Simone Macrì e Patrizia Campolongo e pubblicato sull’autorevole rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (Pnas), ha coinvolto numerosi centri di ricerca tra cui l’Istituto Superiore di Sanità, l’Università di Perugia, l’Università della California - Irvine, l’Università di Roma La Sapienza. «Abbiamo monitorato otto persone con ipermemoria, individuate dal gruppo di ricerca nella popolazione italiana a partire dal 2015, e 21 soggetti di controllo con memoria tipica - afferma il primo autore dello studio, Valerio Santangelo, dell’ateneo di Perugia e della Fondazione Santa Lucia Irccs -. La cosa straordinaria è che, oltre a ricordare il giorno della settimana di una data lontana nel tempo, sono anche in grado di dire come erano vestiti in quella giornata, che cosa hanno mangiato, quale film hanno visto. Ancora più sorprendente è la completa assenza di esitazione o di sforzi consapevoli quando tali soggetti devono richiamare alla memoria eventi che hanno vissuto anche decine di anni prima».

COME UN FLASH-BACK

Durante la scansione cerebrale, ai soggetti è stato chiesto di rievocare esperienze autobiografiche relativamente recenti («L’ultima volta che hai preso un treno») o remote («La prima volta che hai baciato qualcuno»). Nell’arco di trenta secondi, i soggetti dovevano premere un pulsante per indicare che avevano rintracciato quello specifico ricordo in memoria (fase di accesso al ricordo) e poi continuare a rivivere il ricordo quanto più possibile nel dettaglio (fase di elaborazione del ricordo). «Come era lecito attendersi - prosegue Patrizia Campolongo, neuropsicofarmacologa della Sapienza e della Fondazione Santa Lucia - i soggetti con ipermemoria autobiografica hanno rievocato un numero maggiore di dettagli e con maggior vividezza rispetto ai soggetti di controllo. Sorprendentemente, le differenze funzionali tra ipermemori e controlli sono state riscontrate unicamente nella fase di accesso al ricordo, ma non nella fase di elaborazione dello stesso».


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NUOVE FRONTIERE 

Continua la Campolongo: «Durante la fase di accesso, i soggetti ipermemori hanno mostrato un incremento di attivazione della corteccia prefrontale mediale e della sua connettività funzionale con l’ippocampo, soprattutto nel caso di ricordi remoti. Questi risultati sembrano mostrare che l’ipermemoria consiste principalmente nella capacità di accedere, tramite il circuito prefrontale-ippocampale, a tracce mnestiche non sono accessibili invece ai soggetti di controllo, spiegando così la maggiore capacità dei soggetti ipermemori di riportare alla luce dettagli infinitesimi del loro passato». Cosa ci indica questo studio? Di fatto apre nuove frontiere di ricerca sulla memoria, tradizionalmente studiata, come si diceva, in stato di ipo-funzionamento in condizioni patologiche. «Comprendere i sistemi neurobiologici alla base dell’iper-funzionamento della memoria - conclude Simone Macrì, dell’Istituto Superiore di Sanità - fornisce di fatto importanti indicazioni su come intervenire per ripristinare un funzionamento adeguato dei sistemi di memoria in condizioni patologiche».


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NON DIMENTICARE MAI

Ma come ci si trova a essere uno che si ricorda tutto? Perché l’esperienza inversa, il non ricordare, il non trovare una parola che si conosce benissimo, sono esperienza di tutti o quasi. Data la loro rarità, è anche difficile conoscere un «ipermemore» e osservarlo da vicino. Non è che ricordare tutto diventa un’ossessione, troppo passato sulle spalle del presente? Abbiamo fatto queste domande a un paio dei partecipanti all’indagine della Fondazione Santa Lucia Irccs. «No, svantaggi non posso dire di averne», sorride Luca Nania, magistrato. «Le cose che ricordo non mi assalgono, so che sono passate. Il mio primo ricordo è di quando avevo due anni. Eravamo al mare in Calabria, la mamma stava sotto l‘ombrellone e io avevo una mia barchetta di gomma gonfiabile». A fare il magistrato ci sono un’infinità di norme da ricordare e di casi che fanno giurisprudenza. Non è che al lavoro il dottor Nania venga usato dai colleghi come «computer vivente» di articoli e commi? «No, non proprio. Certo, io ho un’ottima memoria fotografica e ricordo la posizione nella pagina del tale argomento, questo sì è un aiuto. Perché nel Codice noi cerchiamo per argomenti. Piuttosto è con gli amici che la mia memoria crea strane situazioni: spesso ricordo pezzi delle loro vita che loro stessi hanno dimenticato. Se gli racconto la storia ben dettagliata allora a volte gli torna in mente. Curioso, eh?».

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«RICORDO PER GLI AMICI» 

Sugli svantaggi non è d’accordo Grazia Lomuscio, farmacista: «Se capitano esperienze negative, difficilmente riesco a rimuoverle. Basta una sola immagine o anche un odore, ed ecco che in un attimo ricompare quell’evento e ritorna la stessa emozione sgradevole. Insomma, per me c’è un passato che non passa». Ride la dottoressa Lomuscio: «Faccio comodo in famiglia e tra gli amici: quand’è il compleanno della tal persona?, mi chiedono. Oppure per una festa, una gita, un avvenimento fatto insieme tempo addietro mi chiedono di rievocare chi c’era, che cosa abbiamo fatto, cosa ci siamo detti. Comunque non si pensi che ricordiamo proprio tutto. Io i giorni grigi senza storia non li ho a mente, mentre ricordo tutto, nei minimi dettagli, dei periodi intensi. Specie se a quei fatti si lega un’emozione».

 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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