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Neuroscienze
Fabio Di Todaro
pubblicato il 19-10-2015

Ictus, quando la colpa è del troppo lavoro



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Rimanere in ufficio più di 55 ore alla settimana aumenta il rischio del 33%. Una direttiva europea fissa i limiti, ma molti Stati non si sforzano per farla rispettare

Ictus, quando la colpa è del troppo lavoro

Vale come un monito. Sudare tanto durante la settimana può gonfiare il portafoglio, ma pure accorciare la vita. Restano da chiarire i meccanismi alla base dell’effetto, ma il riscontro è sorretto da numeri non trascurabili. 

 

Troppo lavoro aumenta anche il rischio di depressione

 

 

SE IL LAVORO AVVICINA L’ICTUS

Tirar tardi ogni sera in ufficio espone a rischi mica da poco per la salute. Il messaggio giunge da uno revisione di studi pubblicata su The Lancet. Oltre seicentomila le persone coinvolte nel lavoro, guidato da Mika Kivimaki, docente di epidemiologia allo University College di Londra. Obiettivo dei ricercatori, dopo diverse ricerche che avevano correlato l’eccesso di lavoro a una più frequente insorgenza di malattie cardiovascolari, era quello di tirare le somme e valutare l’eventuale legame rispetto all’ictus, finora poco indagato. Così hanno deciso di passare in rassegna tutti gli studi realizzati con lo scopo di valutare le ripercussioni del “superlavoro”. Perentorie le conclusioni, al netto di altri fattori confondenti: come la provenienza delle persone (i campioni degli studi erano stati raccolti tra Europa, Stati Uniti e Australia), l’abitudine al fumo, il livello di istruzione, il sesso e lo status socio-economico. «Una settimana lavorativa costituita da 55 ore aumenta del 33% il rischio di andare incontro a un ictus». 

Leggi lo SPECIALE ICTUS della Fondazione Veronesi

 

COLPA DELL’ALCOL E DEI CHILI DI TROPPO?

L’aumento del rischio è in realtà graduale: già tra le 41 e le 48 ore le probabilità risultano aumentate del 10%, tra 49 e 54 del 27%. E così via. Ma non solo. Seppur di minore entità, l’incremento ha riguardato anche il rischio di incorrere in una malattia coronarica: +13%. Sebbene i meccanismi alla base di queste relazioni necessitino di essere meglio compresi, qualche sospetto i ricercatori ce l’hanno. Chi lavora sistematicamente più di otto ore al giorno, sottrae tempo da dedicare alla cura di se stesso. Di conseguenza lo stile di vita diventa più sedentario e, in risposta allo stress, si tende a esagerare con il consumo di bevande alcoliche: come già documentato alcuni mesi fa in un lavoro apparso sul British Medical Journal.

L’ipotesi dovrebbe essere remota, visto che da 12 anni l’Unione Europea ha varato una direttiva - la numero 88 del 2003 - che impone agli Stati membri di fissare il limite massimo di tempo settimanale da dedicare al lavoro a quarantotto ore. Ma non tutti sembrano far rispettarla alla lettera, se nei Paesi dell’Ocse, in media, ci sono una quota di uomini (12%) e donne (5%) che superano il tetto delle cinquanta ore. Agli estremi la Turchia (il 43% degli adulti sgobba più del dovuto) e l’Olanda (meno dell’1% dei lavoratori va oltre il limite).

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SUPERARE IL LIMITE NON SERVE

Se il capo sembra non preoccuparsi troppo del vostro stato di salute, può valere la pena fargli notare che oltre le cinquanta ore di lavoro alla settimana la produttività inizia a calare, per crollare quando si supera il muro delle 55: come documentato in uno studio condotto da ricercatori dell’ateneo statunitense di Stanford. Conta di più adoperarsi il tempo necessario con la giusta concentrazione che fare gli straordinari, togliendo tempo agli hobby e alla propria famiglia. Meglio trascorrere il fine settimana in campagna o al mare che davanti a un pc. Il cuore ringrazierà.


@fabioditodaro

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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