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Oncologia
Nicla Panciera
pubblicato il 09-02-2023

La ricerca? "Pensi al paziente, non ai singoli farmaci"



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Come promuovere una ricerca clinica più vicina ai malati? Serve la ricerca clinica indipendente, spiega Francesco Perrone

La ricerca? "Pensi al paziente, non ai singoli farmaci"

L’esponenziale aumento delle opzioni terapeutiche ha portato a un progressivo miglioramento dell’aspettativa di vita per i pazienti oncologici e a una maggior attenzione per la qualità della vita. Al crescere delle soluzioni a disposizione per il singolo paziente può diventare complicato stabilire quale sia la terapia più adeguata: tra due nuovi farmaci che terminano la loro sperimentazione contemporaneamente, più o meno con la stessa indicazione, quale scegliere? E, in caso di progressione di malattia, quando una molecola smette di essere efficace, come decidere quale ulteriore farmaco offrire al paziente? L’ordine da seguire non è ininfluente per l’esito terapeutico. Tuttavia, per formulare algoritmi decisionali e raccomandazioni sulle sequenze di trattamento servirebbero solide evidenze scientifiche, spesso assenti, e così ci si affida alle competenze dello specialista e a valutazioni di scenari e di rapporti costo-beneficio.

DALLE ISTANTANEE AL FILM

Spiega Francesco Perrone, direttore della Struttura complessa di Sperimentazioni cliniche dell’Istituto Nazionale Tumori "Pascale" di Napoli e presidente eletto di Aiom Associazione Italiana di Oncologia Medica: «Ciò dipende dal fatto che i risultati degli studi clinici randomizzati, condotti a fini registrativi, sono come delle istantanee che mettono a fuoco il singolo farmaco, senza fornire però sufficienti evidenze sul suo reale valore per il paziente». Bisognerebbe, quindi, passare dalle istantanee al film. Infatti, l’esperienza del paziente e del suo medico è quella di un percorso, dove al fallimento di un certo farmaco o di una certa combinazione, si prova con un’alternativa. Gli studi clinici dovrebbero essere pensati per tenere conto di questa evoluzione. «Il tentativo di far combaciare le varie istantanee sulla pellicola, in altre parole di articolare delle sequenze di trattamento, è fallimentare perché mancano le evidenze sull’adeguato posizionamento della terapia nello scenario esistente» dice Perrone. «Gli studi di sequenza scarseggiano».

LE PROBLEMATICHE

Ciò ha delle ricadute sulle società scientifiche, chiamate a stabilire nelle linee guida le sequenze di trattamento ottimali e che spesso «si trovano» dice Perrone «in una giungla di dati, incapaci di disegnare dei percorsi per i pazienti»; ciò complica anche il lavoro delle agenzie regolatorie, chiamate a decidere in merito alla registrazione e al rimborso di un farmaco sulla base di molti modelli teorici; infine, la disponibilità di dati adeguati ridurrebbe le infinite discussioni su prezzi e su rimborsabilità e rispetterebbe la reale efficacia del farmaco, che potrebbe essere anche superiore rispetto a quella evidenziata nei primi studi registrativi. L’appello per una ricerca clinica indipendente, promossa da enti che lavorano nel Servizio sanitario nazionale, capace di rispondere a questi bisogni e che si aggiunga agli studi profit, condotti dalle aziende farmaceutiche per lo sviluppo dei nuovi farmaci, è stato sottolineato in occasione della Giornata mondiale del cancro.

SERVE UNA SPERIMENTAZIONE PIÙ VICINA AI MALATI

Il nuovo modello di sperimentazione clinica proposto dall’oncologo, che da tempo si batte in favore di una riorganizzazione della ricerca per una medicina basata sulle evidenze, punta a colmare il gap conoscitivo esistente tra sperimentazione e pratica, tra quesiti scientifici e bisogni dei pazienti. «Una possibilità è quella di riorganizzare i trial, operativamente creando dei protocolli adattativi, che si aggiornino con l’evoluzione degli scenari diagnostici e terapeutici e che guardino a ogni singolo snodo decisionale, rendendo esplicita ogni tappa del percorso (perché tale scelta terapeutica? Quale trattamento successivo resta disponibile?). In caso di incertezza tra trattamenti disponibili, si inserisca la randomizzazione (l'assegnazione casuale dei trattamenti terapeutici ai pazienti, ndr)» spiega l’oncologo. «La proposta è di creare una piattaforma (platform studies) che consenta di studiare non un singolo farmaco, ma i percorsi terapeutici, i cosiddetti patient journey, che avrà anche il merito di colmare il gap tra studi randomizzati e studi di real world, ancora irrisolto».

SERVE LA RICERCA INDIPENDENTE

I dati diffusi da Aifa in occasione della Giornata mondiale contro il cancro mostrano che in Italia meno di un quinto degli studi clinici sui nuovi farmaci è indipendente. Non è affatto una questione che interessi pochi cultori della materia, avverte Perrone, ne va della sostenibilità del Sistema sanitario nazionale e della sua missione di fornire le migliori cure possibili a tutti. Ci vuole però una risposta di sistema che coinvolga istituzioni, infrastrutture, finanziatori e centri tutti. «Che si possa fare e che il paese ne abbia bisogno lo dimostra quanto è accaduto con il Covid: nei primi tre mesi di pandemia, da aprile a maggio 2020, sono stati approvati dal comitato etico unico 14 sperimentazioni accademiche e solo 5 di aziende farmaceutiche», dice Perrone. A chi crede che la ricerca indipendente e di qualità, finanziata con i soldi pubblici, non sia così necessaria, ricorda le riflessioni di Alessandro Liberati, ma anche di Iain Chalmers e Paul Glasziou, «sulla necessità di impegnarsi in studi che contino per i malati e non ricerche utili alla carriera o al profitto. La ricerca diventa uno spreco quando si dedica a quesiti di scarsa rilevanza, che non provengono dai medici e dai pazienti e quando misura effetti di scarso rilievo, quando insomma non migliora la pratica clinica».

PERCHÉ DIFENDERE IL SISTEMA SANITARIO

E a chi ritiene che la sostenibilità del Sistema sanitario nazionale non sia dopotutto un gran problema perché la pratica clinica può essere affidata a privati e assicurazioni, si può rispondere che laddove questo avviene, come negli USA, l'attesa di vita è nettamente inferiore e buona parte della spesa sanitaria non si traduce in una maggior aspettativa di vita. Non solo, aggiunge Perrone, uno dei primi in Italia ad aver studiato e sollevato il problema della tossicità finanziaria, fenomeno per cui le difficoltà economiche dovute alle cure si traducono in un peggioramento degli esiti di malattia: «Negli Usa, la tossicità finanziaria colpisce molto più duramente, le difficoltà economiche si associano a un incremento del rischio di morte nell'ordine del 80%, laddove noi abbiamo visto che in Italia è del 20%».

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Nicla Panciera
Nicla Panciera

Giornalista professionista e medical writer, si occupa di salute e di scienza per varie testate nazionali (tra cui Repubblica, La Stampa, Le Scienze, Mind Mente e cervello, dove cura una sua rubrica, e Vita), è autrice del libro «In piena libertà e consapevolezza» (con Margherita Hack) per Baldini&Castoldi e di «Cervelli che contano» (con Giorgio Vallortigara) per Adelphi Piccola Biblioteca Scientifica.


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