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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 03-06-2022

Melanoma: la vittoria dell'immunoterapia



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Con la combinazione di ipilimumab e nivolumab la metà dei pazienti con melanoma metastatico è viva a 7 anni dalla diagnosi. Ma non finisce qui

Melanoma: la vittoria dell'immunoterapia

Melanoma fa rima con immunoterapia. Se oggi molti tumori possono essere affrontati con successo lo si deve alla rivoluzionaria idea che sta alla base dell'immunoterapia: stimolare il sistema immunitario affinché riconosca ed elimini le cellule cancerose. I primi a beneficiare di questo approccio sono stati proprio le persone con melanoma metastatico, una malattia che sino al 2011 rappresentava una condanna. Oggi, grazie all'utilizzo combinato di più immunoterapici (ipilimumab e nivolumab), il 48% dei pazienti è vivo a 7 anni e mezzo dalla diagnosi. I risultati dello studio Chechmate-067 sono stati presentati al congresso dell'American Society of Clinical Oncology di Chicago (ASCO), il più importante appuntamento mondiale dedicato alla ricerca clinica sul cancro.

MELANOMA APRIPISTA

A dare il via all'era dell'immunoterapia, il quarto pilastro delle cure anticancro dopo chirurgia, chemio e radioterapia, è stato il melanoma, un tumore che solo poco più di dieci anni fa era considerato tra i più temibili perché essenzialmente privo di cure. Prima del 2011, anno in cui è stato approvato il primo immunoterapico della storia, l'aspettativa di vita media per un melanoma metastatico era di soli 9 mesi dalla diagnosi. «Oggi -spiega Paolo Ascierto, Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del "Pascale" di Napoli- la situazione è radicalmente cambiata e il melanoma metastatico può essere considerato a tutti gli effetti una malattia cronica».

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TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

DALLA MONOTERAPIA ALLE COMBINAZIONI

A cambiare radicalmente la situazione ci ha pensato ipilimumab, il primo farmaco immunoterapico della storia. I dati disponibili a 10 anni di distanza dalla diagnosi ci dicono che è vivo il 20% dei pazienti trattati con ipilimumab. Complice però la grande attività di ricerca scientifica nel campo dell'immuno-oncologia, dall'approvazione di ipilimuamb ad oggi sono arrivati sul mercato altri immunoterapici con differente meccanismo d'azione. Uno di questi è nivolumab che, a differenza di ipilimumab, ha come bersaglio PD-L1. Lo studio presentato ad ASCO lascia poco spazio alle interpretazioni: «Somministrare in prima linea la combinazione ipilimumab più nivolumab -continua Ascierto- porta al 48% la sopravvivenza a 7 anni e mezzo dalla diagnosi. Un risultato straordinario che ci dice che il melanoma è diventato a tutti gli effetti una malattia cronica.

LAG-3 NUOVO TARGET

Ma la storia nel trattamento del melanoma metastatico non finisce qui. Gli oncologi stanno sperimentando ora un'ulteriore strategia, ovvero quella di combinare i farmaci oggi già disponibili con dei nuovi capaci di agire su un bersaglio differente. Se tutti gli immunoterapici disponibili agiscono sui checkpoint PD-1/PD-L1 e CTLA-4, da poco sul mercato è sbarcato relatlimab capace di agire contro il bersaglio LAG-3. In tutti e tre i casi l'effetto di queste molecole è quello di mantenere sempre attiva la risposta immunitaria contro il tumore ed evitare che questa si affievolisca lasciando dunque spazio alla crescita tumorale.

Ad ASCO sono stati presentati i primi dati dello studio RELATIVITY-047 sulla combinazione di relatlimab e nivolumab in prima linea. Dalle analisi è emerso una migliore risposta rispetto alla già efficace combinazione di ipilimumab e nivolumab e una riduzione del 20% del rischio di morte rispetto alla combinazione precedente. Se i risultati saranno confermati sul lungo termine significherà avere a disposizione una combinazione ancora più efficace per migliorare ulteriormente il trattamento del melanoma metastatico.

IL PUNTO SULLE TERAPIE A TARGET MOLECOLARE

Nella lotta al melanoma metastatico non ci sono però solo gli immunoterapici. In molti casi il melanoma è caratterizzato da una mutazione nel gene BRAF che lo rende particolarmente sensibile all'azione di farmaci a bersaglio molecolare. Ecco dunque che sfruttare questa seconda opzione potrebbe portare ulteriori benefici ai malati. «Negli ultimi anni -spiega Ascierto- con lo studio Secombit abbiamo cercato di capire quanto utilizzare l'immunoterapia e quando le terapie a target molecolare nei pazienti con melanoma metastatico BRAF mutato. Tutti i risultati ci dicono -fatta eccezione per una particolare categoria di pazienti che esprimono elevati valori di LDH- che la miglior strategia consiste nel trattare inizialmente il paziente con immunoterapia e poi passare alla terapia target. Appurato questo fatto, la vera sfida ora è quella di cercare di individuare nuove soluzioni per chi non trae beneficio dall'immunoterapia».

FONDAMENTALE LA PREVENZIONE

Ma se le terapie hanno reso il melanoma metastatico una malattia cronica, non dobbiamo dimenticarci che la prevenzione rimane la prima arma per evitare la malattia. Oltre ad un controllo regolare dei nei, la prevenzione passa dalla riduzione dei fattori di rischio. Il primo è in assoluto l'esposizione alle lampade abbronzanti. «Uno studio IARC -conclude Ascierto- ha mostrato che nelle persone under-30 l'utilizzo delle lampade aumenta il rischio di melanoma del 70%».

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Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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