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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 23-01-2013

Milioni di italiani rifiutano di salvare la propria vita



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Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio nazionale, dei 9,5 milioni di persone aventi diritto agli screening oncologici meno della metà effettua gli esami. Ancora troppe differenze tra nord e sud. Eppure questi test sono in grado di salvarci la vita

Milioni di italiani rifiutano di salvare la propria vita

Italiani e prevenzione: un rapporto difficile e conflittuale. Nonostante le Asl ogni anno offrano la possibilità a 9,5 milioni di italiani di sottoporsi agli screening oncologici, meno della metà decide di rispondere alla chiamata. E’ questa la poco confortante situazione che emerge dai dati pubblicati nel decimo rapporto dell'Osservatorio Nazionale Screening. Eppure grazie agli screening ogni anno è possibile salvare migliaia di vite. Ma se da un lato a preoccupare è la scarsa adesione non esenti da colpe sono le stesse Asl, non sempre organizzate per coprire le fasce di popolazione aventi diritto.

ESAMI DA FARE- Quando si parla di screening oncologici ci si riferisce a quei metodi per andare a cercare, tra le persone che non hanno disturbi o sintomi, quelle che potrebbero avere una malattia tumorale in fase iniziale. Sono uno strumento straordinario che permette di salvare la vita a moltissime persone. Tra i più diffusi c’è quello mammografico per il cancro al seno, il sangue occulto nelle feci per quello del colon-retto e il cervicale per la neoplasia alla cervice uterina.

I NUMERI- Secondo i dati presentati le Asl nel 2010 hanno invitato quasi 9,5 milioni di persone a sottoporsi agli screening. Gli aderenti all’iniziativa sono stati oltre 4 milioni, circa il 46% degli aventi diritto. Attraverso questi esami è stato possibile identificare e trattare quasi 30 mila forme tumorali. Analizzando in particolare i dati relativi allo screening mammografico emerge che mentre al nord le Asl riescono a chiamare il 92% delle donne aventi diritto e nel centro l'82%, al sud purtroppo sono è il 45%. Un dato che mostra ancora una volta quanto la situazione sia a macchia di leopardo ma che, vista in prospettiva futura, non potrà che migliorare: sino a pochi anni fa la copertura dello screening mammografico al sud raggiungeva solo il 10%.

CONSIGLI PER LE DONNE- Ma se da un lato vi è sempre di più la pressante necessità di sensibilizzare le persone ad aderire a questo genere di test, dall’altro non si deve cadere nell’errore che gli screening siano sufficienti a fare prevenzione. Ciò vale in particolare per il tumore al seno. Come dichiara il professor Paolo Veronesi, senologo e presidente della Fondazione, «Lo screening mammografico è importante, è un buon inizio, ma non è sufficiente. Già a partire dai 35 anni è necessario che le donne effettuino su base volontaria una ecografia una volta l'anno ed a partire dai 40 anni anche la mammografia annuale. Grazie alle moderne strumentazioni come la mammografia digitale, l'ecografia con sonde ad alta frequenza e la risonanza magnetica, è oggi possibile diagnosticare un tumore al seno in fase preclinica, prima cioè che sia palpabile dalla donna o dal medico. Quando la diagnosi avviene in questa finestra temporale la probabilità di guarigione a cinque anni è superiore al 98%».

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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