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Oncologia

Tumore al seno e linfedema: si studiano nuovi trattamenti

Anche il trasferimento di linfonodi fra le strategie chirurgiche allo studio per il linfedema del braccio. Colpisce il 40 per cento delle donne sottoposte a scavo ascellare per un tumore al seno

Dopo un intervento ai linfonodi ascellari per curare un tumore al seno può accadere che il braccio interessato si gonfi (linfedema): ora uno studio scandinavo mostra che il trasferimento di linfonodi prelevati da altre sedi nell’ascella compromessa può essere un trattamento efficace per questo edema. Anche se manca ancora – sottolineano i ricercatori – un farmaco adatto per sostenere questa pratica.

La chirurga plastica Pauliina Hartiala dell’Università di Turku in Finlandia osserva: «Io mi sto convincendo sempre di più che il linfedema non sia soltanto un problema linfatico, ma che sia connesso a un fattore immunologico».

IN UNA DONNA SU 4 VIA I LINFONODI ASCELLARI

Circa una donna su quattro con cancro al seno subisce la rimozione chirurgica dei linfonodi ascellari. L’intervento si esegue quando dagli esami risulta che il tumore si è espanso nei linfonodi, e abitualmente è seguito da radioterapia. Dopo questo trattamento il 20-40 percento delle donne sviluppa un linfedema, un disturbo del drenaggio linfatico nel braccio coinvolto.

IL LINFEDEMA

«Di solito il linfedema si forma circa sei mesi dopo l’intervento chirurgico per il tumore, ma può anche presentarsi dopo diversi anni», racconta la professoressa Hartiala. Il gonfiore del braccio si deve all’inizio all’accumulo di fluidi nel tessuto, ma nel tempo può prevalere una componente solida, quando cominciano ad accumularsi anche grasso e tessuto connettivo fibroso. Succede che parte dell’arto diventi spessa e sgraziata. Si usa in genere un manicotto di compressione elastico per cercare di controllare il rigonfiamento. Ma a volte il gonfiore è tale da interferire con la vita di ogni giorno della donna, tanto nel lavoro quanto nel tempo libero.

DALLA LIPOSUZIONE AL BYPASS LINFATICO

Il linfedema può venire trattato con diverse opzioni chirurgiche, tra cui la liposuzione, una procedura di bypass linfatico o il trasferimento linfonodale. In quest’ultimo caso alcuni linfonodi vengono spostati, per esempio dall’inguine all’ascella, per rimpiazzare i linfonodi tolti e riavviare il flusso linfatico. 

La professoressa Pauliina Hartiala è stata una dei referenti in uno studio che ha coinvolto cinque centri tra Finlandia e Svezia teso a verificare se il trasferimento linfonodale poteva essere migliorato con l’impiego di un fattore di crescita, un farmaco chiamato Lymfactin, che promuove la crescita e la riparazione dei vasi linfatici.

UNO STUDIO SU 39 DONNE

Lo studio ha coinvolto 39 donne e se nel modello animale aveva dato un buon risultato, così non si è verificato nell’esperimento umano col farmaco. Tuttavia, la professoressa Hartiala si è dichiarata soddisfatta perché «abbiamo comunque dimostrato, con uno studio in doppio cieco, che il trasferimento dei linfonodi è un trattamento praticabile per alcune pazienti con linfedema dopo la chirurgia al seno. Uno dei risultati sta nel fatto che l’operazione ha migliorato di molto la qualità della vita delle donne implicate, il che non è poco».

NEL 40 PER CENTO DEI CASI SI FORMA L’EDEMA

Sull’argomento sentiamo l’esperienza del dottor Massimiliano Gennaro, senologo e chirurgo all’Istituto nazionale dei Tumori di Milano: «Si ricorre molto meno alla chirurgia ascellare oggigiorno, e uno dei motivi è che è più facile capire quando i linfonodi sono malati o intatti. Anche perché c’è crescente consapevolezza che nella maggior parte dei casi l’intervento ha un significato meramente informativo». 

Con tutto ciò, restano casi in cui è necessaria la dissezione ascellare e in una percentuale non trascurabile, il 40 per cento dei casi, si forma l’edema del braccio. «Ed ecco il linfedema, che - va sottolineato - è una condizione iatrogena, causata cioè dalla necessaria azione del chirurgo. Ed è anche una condizione cronica, non si guarisce», spiega il dottor Gennaro.

I TRATTAMENTI POSSIBILI PER IL LINFEDEMA DEL BRACCIO

Gli approcci curativi possibili sono di due tipi: conservativi, ed allora si tratta di azioni riabilitative fisiatriche come il linfodrenaggio o la pressoterapia, oppure interventi chirurgici. In questo caso si prelevano dei linfonodi da un sito donatore dell’organismo (sono diversi) e si trasferiscono nel sito ascellare così riparte la via linfatica.

Riprende Massimiliano Gennaro: «La comunità chirurgica è naturalmente sensibile alle sequele che sono effetto diretto delle cure, così cerca di esplorare non solo vie conservative o chirurgiche, ma anche la combinazione delle due o, come nello studio scandinavo, l’intervento di un farmaco».

FONDAMENTALE PREVENIRE QUANDO POSSIBILE

«Da parte mia, a mio avviso si deve fare di più sul piano della prevenzione – continua il chirurgo - Meglio prevenire che curare, no? Si può fare in due modi. 1) selezionare in modo più accurato le pazienti che hanno davvero bisogno della dissezione ascellare; 2) in caso affermativo, mettere in campo per la dissezione una tecnica chirurgica più sofisticata. Su questo fronte oggi sono disponibili due metodi: A) dissezione ascellare selettiva (Sad), sviluppata a Milano e pubblicata nel 2022; B) un intervento microchirurgico di anastomosi linfatico-venosa, una procedura ancora sperimentale, è vero, ma che sembra promettente come la sopracitata Sad».

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