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Oncologia
Chiara Segré
pubblicato il 06-02-2018

Studio come rendere meno aggressivi i gliomi pediatrici



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Il progetto di Roberta Ferretti punta a identificare i meccanismi molecolari e genetici che determinano aggressività e invasività nei tumori cerebrali in età pediatrica

Studio come rendere meno aggressivi i gliomi pediatrici

I gliomi di alto grado pediatrici sono tumori cerebrali aggressivi che colpiscono bambini e adolescenti. L’aspettativa di vita media è di 9-12 mesi dalla diagnosi e al momento non sono disponibili cure efficaci. Fino a pochi anni fa, tali tumori erano stati erroneamente considerati biologicamente simili alla controparte adulta. Oggi invece si è scoperto che i gliomi pediatrici sono diversi da quelli dell’adulto, e comprenderne biologia e patologia è essenziale per sviluppare terapie finalmente efficaci. Questo è l’obiettivo di Roberta Ferretti, ricercatrice post-dottorato all’Ospedale Bambin Gesù di Roma, che lavora grazie a una borsa della Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto Gold for Kids sostenuta dall’Associazione Dedicato a te
 

Roberta, in cosa consiste la tua ricerca?

«Studio i gliomi aggressivi che colpiscono i bambini. In questi tumori, ad oggi è nota l’esistenza di varie mutazioni genetiche a carico degli istoni, importanti proteine intorno a cui si lega il DNA e che ne regolano le funzioni. Inoltre ogni tipo di mutazione è associato ad una specifica età e sede cerebrale d’insorgenza del tumore. Lo scopo del progetto è individuare i meccanismi molecolari alla base dei processi invasivi e infiltrativi dei diversi sottotipi di gliomi pediatrici». 
 

Ci dai qualche dettaglio in più?

«Utilizzerò un pannello di 15 linee cellulari tumorali derivate da pazienti determinando, in ognuna di esse, i geni espressi in maniera anomala rispetto alle cellule normali e potenzialmente coinvolti nella patologia. I profili molecolari delineati saranno utilizzati per la determinazione di marcatori diagnostici nonché per la progettazione di terapie mirate a bloccare la capacità di invasione di questi tumori, potenzialmente in combinazione con altri trattamenti».


L’obiettivo finale è sempre quello di sviluppare terapie efficaci per i piccoli pazienti, giusto
?

«Esattamente. Senza conoscenza non ci può essere terapia efficace».


Quando hai capito che la tua strada era quella della scienza?

«La prima volta che ho guardato al microscopio, al primo anno di biotecnologie: durante uno dei laboratori ci mostrarono l’alga spirogyra. Mi piace tantissimo l’idea che ci siano universi microscopici che ci circondano, in ogni cellula, in una sempilce goccia d’acqua».


Come ti vedi fra dieci anni?

«Cerco di pensare al futuro prossimo e non a giorni lontani, anche perché la vita è imprevedibile. Posso dire quello che vorrei: rimanere qui a Roma, perché è la città che amo, continuare a lavorare nella ricerca, perchè è il lavoro che amo, e fare i viaggi che da tanto vorrei fare, ad esempio vedere la barriera corallina».


Cosa ti piace di più della ricerca?

«Scoprire ogni giorno che sono piccolissima, eppure gigante, che siamo fatti in maniera meravigliosa, che siamo natura».


E cosa invece eviteresti volentieri?

«La mancanza di fondi e il precariato».


Una figura che ti ha ispirato  nella tua vita

«La mia professoressa di storia e filosofia del liceo: é lei che mi ha insegnato a saper pensare in maniera critica, ed a guardare al di là dell’apparenza delle cose».


La cosa di cui hai più paura e perché.

«Di spendere male il mio tempo, perché quello non torna più». 
 

Quali saranno secondo te le più importanti conquista della scienza medica nel prossimi decenni?

«L’utilizzo delle cellule staminali e di colture 3D per lo studio e la riproduzione in vitro di organi».


E per concludere: qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca ogni giorno?

«Sapere di impiegare il mio tempo per qualcosa che possa essere davvero di aiuto per persone in difficoltà».

 

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Chiara Segré
Chiara Segré

Chiara Segré è biologa e dottore di ricerca in oncologia molecolare, con un master in giornalismo e comunicazione della scienza. Ha lavorato otto anni nella ricerca sul cancro e dal 2010 si occupa di divulgazione scientifica. Attualmente è Responsabile della Supervisione Scientifica della Fondazione Umberto Veronesi, oltre che scrittrice di libri per bambini e ragazzi.


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