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Oncologia
Daniele Banfi
pubblicato il 07-06-2021

Tumore del polmone: malattia cronica con chemio e immunoterapia



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Alcuni pazienti non riescono a rispondere efficacemente all'immunoterapia. Se però si "prepara il terreno" con la chemioterapia tutto cambia. I risultati presentati ad ASCO

Tumore del polmone: malattia cronica con chemio e immunoterapia

L'immunoterapia sta rivoluzionando la cura del tumore del polmone. Non tutti i malati però rispondono efficacemente alle terapie. Per colmare questa differenza un aiuto può venire dalla combinazione tra chemioterapia e immunoterapia. Come il caso di ipilimumab e nivolumab nello studio CheckMate 9LA presentato al congresso dell'American Society of Clinical Oncology (ASCO), il principale appuntamento mondiale dedicato alla lotta al cancro. I risultati lasciano poco spazio alle interpretazioni: anche nei pazienti che normalmente non risponderebbero all'immunoterapia (perché con bassi livelli del marcatore PD-L1) la combinazione con chemioterapia aumenta sensibilmente la sopravvivenza.

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TUMORE DEL POLMONE: L'ERA DELL'IMMUNOTERAPIA

Quando la malattia è in fase avanzata e la rimozione chirurgica non è più possibile, l'obbiettivo delle terapie è quello di controllare le metastasi. Sino al 2010 nessun farmaco era in grado di riuscire ad incidere in maniera significativa sull'aspettativa di vita dei malati ma nei casi in cui il tumore era già in fase avanzata, solo il 5,5% dei pazienti trattati con chemioterapia era vivo a 5 anni dalla diagnosi. Una situazione di totale impotenza sbloccata grazie all'avvento dell'immunoterapia, quell'approccio che prevede la somministrazione di farmaci capaci di "risvegliare" il nostro sistema immunitario per riconoscere ed attaccare le cellule cancerose.

A cambiare la storia del trattamento del NSCLC ci ha pensato pembrolizumab, una molecola che in passato si era già dimostrata particolarmente promettente nella cura del melanoma metastatico. Ma pur essendo ancora lontani dai risultati ottenuti nel melanoma, lo storico studio KEYNOTE-001 presentato al congresso ASCO nel 2019 ha mostrato che nei casi in cui i malati esprimevano elevati livelli (50% e più) del marcatore PD-L1 (una proteina su cui agisce pembrolizumab) e non erano mai stati trattati con chemioterapia, nel 29,6% dei casi la persona era in vita a 5 anni dalla diagnosi. Ben un paziente su 3.

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COSA FARE IN CHI NON RISPONDE

Purtroppo però, non tutti i tumori del polmone esprimono elevate quantità del marcatore PD-L1. Ed è proprio su queste persone che l'immunoterapia non sortisce l'effetto sperato e la chemioterapia, effettuata per diversi cicli, non porta a grandi vantaggi in termini di sopravvivenza. Ecco perché da tempo gli oncologi sono al lavoro per cercare alternative per fare in modo che anche questi pazienti possano beneficiare dell'immunoterapia. Già in passato una delle strategie che ha dato migliori risultati è stata quella di somministrare combinazioni di chemio e immunoterapia con la speranza che il primo trattamento portasse ad un cambiamento nelle caratteristiche del tumore rendedolo più facilmente aggredibile dal sistema immunitario. Una strategia che ha dimostrato essere utile ma ancora da affinare.

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COMBINARE CHEMIO E IMMUNOTERAPIA

Ad aggiungere un tassello importante in questa direzione ci ha pensato lo studio CheckMate -9LA presentato ad ASCO. Realizzato su 700 pazienti con tumore del polmone NSCLC, il trial clinico prevedeva il confronto tra la somministrazione della sola chemioterapia in 4 cicli e l'utilizzo della combinazione di due cicli di chemioterapia seguiti dall'uso combinato degli immunoterapici ipilimumab e nivolumab. "Questa strategia -spiega Cesare Gridelli, Direttore Dipartimento di Onco-Ematologia dell'Azienda Ospedaliera Giuseppe Moscati di Avellino- consente di ottenere un meccanismo d’azione completo e sinergico perché diretto verso due diversi checkpoint (PD-1 per nivolumab e CTLA-4 per ipilimumab). L'ulteriore vantaggio di questo schema terapeutico è rappresentato dall’utilizzo di cicli limitati di chemioterapia, che permette di ridurre gli effetti collaterali. Si tratta di un grande beneficio per i pazienti, anche da un punto di vista psicologico, perché la chemioterapia fa ancora paura. Il paziente, in meno di un mese, termina la chemioterapia e prosegue il trattamento con l'immunoterapia".

I RISULTATI DELLO STUDIO 

Dalle analisi è emerso che nei pazienti che non esprimevano PD-L1 la sopravvivenza globale a 2 anni dalla diagnosi è stata del 37% in chi aveva ricevuto la combinazione di chemio e immunoterapia contro il 22% della sola chemioterapia. Ma c'è di più perchè la grande differenza in termini percentuali è nella progressione libera dalla malattia a due anni, ovvero il tempo che intercorre prima che la malattia riprenda la sua evoluzione. In questo caso si tratta del 20% con l'immunoterapia e del 5% con la sola chemioterapia. Percentuali ottime che aumentano ulteriormente nei pazienti che esprimono livelli di PD-L1 sempre più crescenti, a significare il fatto che l'approccio con due immunoterapici è sempre meglio che l'utilizzo di un singolo agente.

CONTROLLARE LA MALATTIA

Ma il congresso ASCO di quest'anno verrà anche ricordato per un altro importante studio sul tumore del polmone e in particolare per il NSCLC localmente avanzato e non resecabile, ovvero che non è possibile rimuovere chirurgicamente. Per questo stadio di malattia dal 2018 in Italia è disponibile durvalumab, un immunoterapico che si è dimostrato utile nel tenere a freno la malattia evitando la sua evoluzione e la conseguente formazione di metastasi. Prima dell'avvento di questa terapia solo il 15-25% delle persone era in vita a 5 anni dalla diagnosi. Oggi, con i dati presentati ad ASCO, la situazione è cambiata radicalmente: "L'aggiornamento a 5 anni dello studio PACIFIC -spiega Giorgio Scagliotti, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Università di Torino- mostra un dato di sopravvivenza complessiva del 42,9% e una riduzione del rischio di morte di circa il 30% per i pazienti trattati con durvalumab. In aggiunta, 1 paziente su 3 nel braccio di trattamento con durvalumab non risulta essere andato incontro a progressione di malattia, un risultato particolarmente rilevante in termini di controllo della malattia e che conferma ulteriormente la possibilità di offrire un trattamento ad intento curativo in questo setting".

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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