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Oncologia
Edoardo Stucchi
pubblicato il 22-06-2015

Tumore della prostata: quello che gli uomini non dicono



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La paura dello stigma sociale porta i pazienti a non parlare mai dei loro sintomi: dai problemi di incontinenza alle disfunzioni sessuali. La positiva esperienza di divulgazione di un "gruppo di amici"

Tumore della prostata: quello che gli uomini non dicono

Un grande fratello in medicina per superare i problemi e i disagi del cancro alla prostata: dalle implicazioni di natura fisica e psicologica che aleggiano sui malati alle cure più adatte per ciascun malato. È quanto succede a Milano ogni venerdì da Europa Uomo, un luogo riservato ai pazienti colpiti da tumore della prostata e loro familiari per far luce sulla malattia e per scacciare i tabù che circondano la ghiandola dell’apparato sessuale maschile. Vengo accolto da dodici pazienti e dallo psicologo, tutti seduti su poltroncine azzurre disposte in circolo intorno a un tappeto. È come un grande bar, un talk show, un reality aperto dove gli uomini, invece di esaltare le proprie prestazioni sessuali, parlano di incontinenza, disfunzioni sessuali, impotenza, pillole e mezzi per ripristinare l’erezione.

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«Cerchiamo di mettere a fuoco le nostre sensazioni, le nostre paure - racconta uno di loro - perché il tumore alla prostata non è come il tumore al seno, che modifica l’aspetto femminile, ma non la capacità amatoria. Noi, invece, per questo “animale” che ci distrugge a poco a poco, per un rapporto sessuale siamo costretti a ricorrere a rimedi farmacologici o cruenti come le microiniezioni nel pene». Ma nel parlare più o meno forbito, come si fa al bar, qualcuno si aiuta anche con i gesti e alza il braccio, facendo il pugno con l’indice e il mignolo alzati, un segnale che nell’universo maschile indica la possibilità che la donna trovi fuori casa la soddisfazione sessuale. «E non è escluso - ribatte qualcuno - che per colpa di questa malattia la famiglia si sfasci, perché se manca l’intesa fra uomo e donna, si arriva alla separazione e al divorzio. E non c’è peggiore umiliazione che sentirsi abbandonati per colpa dell’incapacità di fare l’amore».

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ANCORA UN TABU’

«La donna combatte da anni la sua battaglia contro il cancro - dice un altro - aiutata da testimonial come la grande Lea Pericoli, che ha sollevato il velo sulla malattia diffondendo conoscenze e paure e lanciando messaggi di speranza e di guarigione. Ma soprattutto c’è stata la spinta nella ricerca che ha determinato un approccio globale alla malattia fin dalla diagnosi. Noi uomini, invece, viviamo ancora nel terrore e nella vergogna tanto da preferire tacere per non sapere».

«Se hai 70-80 anni potresti anche fregartene - narra uno dei presenti -, ma se la malattia ti colpisce nel pieno della vita, come fai a sopportarla? Nei tradizionali luoghi di ritrovo, al bar come nei circoli, è difficile che si parli della prostata, delle volte che si va in bagno di notte, tantomeno del cancro e dei mezzi che usi per ripristinare l’erezione. Hai paura di essere additato. Qui no, ci sentiamo tutti uguali, pur con tutte le differenze possibili. C’è chi ha scoperto la malattia casualmente, chi attraverso la prevenzione primaria, chi ha avuto l’intervento tradizionale, chi con l’ausilio del robot. Chi ha e sopporta l’incontinenza e la disfunzione erettile e chi invece non ha mai sofferto di queste disfunzioni».

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GRUPPI DI MUTUO AIUTO

Ecco perché sono nati i venerdì della salute, perché è soltanto così che si cancellano i tabù. Sono occasione di incontri socio-culturali, ma anche di confronto con gli specialisti, lo psicologo e l’oncologo. Gli appuntamenti sono cominciati nel 2008 grazie al supporto concreto della European School of Oncology, in particolare del suo direttore Alberto Costa, e all’iniziativa di Riccardo Valdagni, direttore del “Programma Prostata” dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. In questi anni molte sono state le esperienze che sono state raccolte e molte le testimonianze di come «siamo diventati un gruppo di amici riuscendo a parlare serenamente dei problemi, superando l’angoscia che ci attanagliava, con un nodo alla gola che impediva alla voce di materializzarsi, fino a piangere».

Oggi i gruppi sono guidati da Enrico Lombardi, psicologo, specializzato in psicologia clinica con esperienza sul campo all’Istituto dei Tumori di Milano. «Sono gruppi di mutuo aiuto - precisa - perché permettono loro di condividere esperienze simili con punti di vista alternativi, utili anche per noi psicologi. Per loro, una risorsa in più rispetto all’informazione medica. La malattia pone anche il paziente di fronte alla scelta del tipo di terapia e questo non favorisce il suo approccio alla cura». Come dice Riccardo Valdagni, «affrontare la consapevolezza di avere un tumore alla prostata non è facile per nessuno, sia per chi ha cinquant’anni, per chi ancora lavora e per chi è vedovo o pensionato. È qualcosa che colpisce l’identità maschile. Ci sono uomini che combattono la sofferenza isolandosi e altri che vogliono condividere il disagio e stanno bene confrontandosi con gli altri».

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IL RAPPORTO CON I MEDICI

Non è sempre corretto e cordiale. Continua così il “talk show”: «Spesso assistevo a discussioni fra urologo, oncologo, radioterapista - aggiunge uno di loro - e questo non mi ha fatto bene. Arrivando qui mi ero preparato una lista di cose scritte, domande alle quali i miei compagni hanno saputo dare risposte: erezione e incontinenza. Tutti i nostri problemi». Tra le difficili cure del tumore come la prostatectomia c’è anche chi ha potuto usufruire dell’innovazione terapeutica della sorveglianza attiva, cioè la possibilità di tenere sotto controllo un tumore “indolente” senza intervenire.

«Ora sto bene, ma quando sai di avere un tumore…. Beh, è tutta un’altra cosa. Pensi alla biopsia, agli effetti collaterali, ai valori del Psa, all’attesa di fare qualcosa». «Ero un donatore di sangue, quando il valore del Psa ha cominciato a salire. Avevo soltanto 56 anni, difficoltà a trattenere la pipì, poco seme, la biopsia. Per fortuna che qui c’erano due dottoresse che ascoltavano e raccoglievano la nostra rabbia». Oppure «ti attacchi al computer, leggi le riviste, c’è chi dice di operarsi e chi dice di no. In casa non bisognava dirlo ai ragazzi. Insomma tu ti ammali e devi nascondere la malattia». «Sono stato operato, ma non mi hanno spiegato niente».

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