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Oncologia
Donatella Barus
pubblicato il 28-09-2015

Tumori, per migranti e rifugiati diagnosi tardive



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La metà dei pazienti si presenta al medico in uno stadio avanzato della malattia. Dati presentati al congresso europeo di oncologia. In Italia attenzione speciale allo screening per il collo dell'utero

Tumori, per migranti e rifugiati diagnosi tardive

Quanto costa essere migranti in terra straniera, in termini di salute? Parecchio, stando a quanto dichiarato nei giorni scorsi al ECC di Vienna. La nazionalità e lo status di rifugiato incidono pesantemente sulle opportunità di affrontare efficacemente i tumori, dato che sia la diagnosi precoce sia le terapie risultano molto più difficoltose. Lo ha spiegato in un’intervista Alexandru Eniu, senologo presso l’istituto oncologico “I. Chiricuta” di Cluj-Napoca, in Romania e Chair del Comitato per i Paesi emergenti dell’European Society of Medical Oncology (ESMO).

«I rifugiati e i migranti, a causa del loro spostamenti, non hanno accesso a screening o alla diagnosi precoce. Avendo un accesso limitato ai sistemi sanitari nel loro paesi d’adozione, trascurano i sintomi precoci e si presentano al medico solo quando sono costretti a chiedere aiuto”. Uno studio presentato nel corso del medesimo convegno ha esaminato la condizione di 11.000 migranti e rifugiati. Fra quelli colpiti da tumore (seno, colon e polmone soprattutto), «Quasi la metà dei pazienti si sono presentati in uno stadio avanzato della malattia e quasi la metà non ha completato le terapie, uno su tre perché non è tornato in ospedale», ha spiegato Eniu.

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LA SITUAZIONE IN ITALIA

Da alcuni anni anche gli oncologi italiani sono impegnati sul fronte delle pari opportunità di cura e di prevenzione. Gli immigrati hanno raggiunto l’8,1% della popolazione e sono quasi cinque milioni. Il 90% di loro ha meno di cinquant'anni e sono, in generale, in condizioni di salute migliore rispetto agli italiani. Come evidenziato anche nel recentissimo rapporto sui tumori in Italia, sono esposti a un rischio oncologico, in generale, più basso, ma sensibilmente più elevato per alcuni tumori, quelli legati a fattori infettivi, come il cancro della cervice, del fegato, dello stomaco e del rinofaringe.


IL TUMORE DEL COLLO DELL'UTERO

Proprio il tumore della cervice uterina merita un’attenzione particolare. Legato a doppio filo con un’infezione persistente da papillomavirus umano (HPV), piuttosto diffusa e quasi sempre asintomatica, ha visto abbattere il tasso di mortalità in Europa grazie alla diffusione degli screening tramite Pap-test. L’esame, che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in Italia offre ogni tre anni alle donne dai 25 anni in poi, permette di rilevare e rimuovere lesioni anche in fase pretumorale. Ad esso si è aggiunto recentemente il test per rilevare la presenza del virus (HPV-DNA test), raccomandato dopo i 35 anni, poiché permette di discriminare efficacemente fra le donne portatrici dell’infezione, e quindi più a rischio, e quelle che invece possono effettuare i controlli con Pap-test con intervalli temporali più lunghi. E c’è da aspettarsi che, grazie alla vaccinazione contro l’HPV per le ragazze, negli anni a venire l’incidenza della malattia calerà ancora. 


Screening vuol dire salvezza


INSISTERE SUGLI SCREENING

Questo contesto però cambia per molte donne provenienti da altri paesi, specie da quelli a forte pressione migratoria. Come segnala il rapporto AIOM/AIRTUM, infatti, il cancro del collo dell’utero è fra i tumori più diffusi in Romania, Marocco, Filippine, India, Tunisia, Ucraina, Albania, Polonia, Cina. E lo stesso vale per la diffusione del papillomavirus. Fra le donne immigrate, rispetto alle italiane, si riscontrano più tumori e meno lesioni preinvasive: in altre parole si arriva tardi. Ecco perché gli oncologi raccomandano di promuovere i programmi di screening in un’ottica multiculturale e esprimono un certo ottimismo: anche se le risposte all’invito ai controlli in generale sono ancora inferiori a quelle delle italiane, la partecipazione migliora col passare degli anni di permanenza in Italia. Buoni motivi per insistere con gli sforzi per l’integrazione, anche alla voce prevenzione.


Donatella Barus
Donatella Barus

Giornalista professionista, dirige dal 2014 il Magazine della Fondazione Umberto Veronesi. E’ laureata in Scienze della Comunicazione, ha un Master in comunicazione. Dal 2003 al 2010 ha lavorato alla realizzazione e redazione di Sportello cancro (Corriere della Sera e Fondazione Veronesi). Ha scritto insieme a Roberto Boffi il manuale “Spegnila!” (BUR Rizzoli), dedicato a chi vuole smettere di fumare.


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