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Alimentazione

Diabete di tipo 1: trapianto su misura grazie a Crispr?

Trapiantate con successo isole pancreatiche modificate per ridurre il rischio di rigetto. Un nuovo passo nella cura del diabete

Un trapianto di cellule pancreatiche modificate con la tecnica di editing genetico Crispr ha permesso a un paziente con diabete di tipo 1 di produrre insulina per alcuni mesi senza bisogno di farmaci immunosoppressivi. È la prima volta che un approccio del genere viene testato sull’uomo. Si tratta però di un risultato preliminare, ottenuto in un solo paziente e con una quantità ridotta di cellule, che non consente di parlare di cura definitiva. L’esperimento, condotto dall'azienda biotech Sana Biotechnology a Seattle, rappresenta al momento un importante passo scientifico, ma l’applicazione clinica resta molto lontana.

IL DIABETE AUTOIMMUNE

Il diabete è una patologia caratterizzata da un aumento dei livelli di glucosio nel sangue. La malattia si divide in due grandi categorie: il diabete di tipo 1 –che riguarda circa il dieci per cento delle persone con diabete– in genere insorge nell'infanzia o nell'adolescenza. Chi ne soffre subisce la progressiva distruzione, a opera del proprio sistema immunitario, delle cellule del pancreas che producono l’insulina. Ecco perché la cura del diabete di tipo 1, quando le cellule beta sono compromesse, è rappresentata da iniezioni giornaliere di insulina.

TRAPIANTARE LE ISOLE PANCREATICHE

Negli anni scorsi una delle strategie più promettenti in alternativa alle iniezioni è stata quella del trapianto delle isole pancreatiche, strutture del pancreas deputate alla produzione dell’insulina. Questa tecnica può riportare il paziente a produrre insulina autonomamente, ma ha due grandi limiti: la scarsità di donatori e la necessità di assumere farmaci immunosoppressivi per evitare il rigetto, con tutti i rischi che questo comporta.

USARE LE PROPRIE CELLULE

Un’alternativa possibile è rappresentata dall’utilizzo delle proprie cellule staminali, opportunamente riprogrammate per diventare cellule pancreatiche. È quanto accaduto in Cina -come raccontato in questo nostro approfondimento- dove una donna di 25 anni è stata la prima paziente al mondo a ricevere cellule staminali autologhe riprogrammate e differenziate in cellule pancreatiche. A due mesi e mezzo dal trapianto ha iniziato a produrre insulina in quantità sufficiente da eliminare la necessità di iniezioni esterne. A un anno di distanza, i suoi livelli di glucosio nel sangue sono rimasti stabili e la produzione autonoma di insulina è stata mantenuta. Rimane però un’incognita: la paziente era già in terapia immunosoppressiva per un precedente trapianto di fegato, per cui non è stato possibile verificare il rischio reale di rigetto o di nuovo attacco autoimmune.

LE CELLULE ANTI-RIGETTO

La novità annunciata da Sana Biotechnology rappresenta un approccio diverso: invece di usare cellule del paziente, i ricercatori hanno preso cellule pancreatiche da un donatore e le hanno modificate geneticamente per renderle invisibili al sistema immunitario. Con Crispr hanno disattivato due geni che segnalano la presenza di cellule estranee ai linfociti T e introdotto CD47, una proteina che funziona da “segnale di protezione” contro le cellule del sistema immunitario. Trapiantate in un paziente, queste cellule hanno prodotto insulina per mesi senza necessità di immunosoppressori. Lo studio resta però preliminare: è stato trattato un solo paziente, con una dose ridotta, e non è stata raggiunta l’indipendenza dalle iniezioni di insulina.

LE SPERIMENTAZIONI IN CORSO

Parallelamente, diverse aziende stanno lavorando a strategie alternative. Vertex Pharmaceuticals ha già trattato 12 pazienti con cellule staminali embrionali differenziate in isole pancreatiche: dopo un anno, dieci non avevano più bisogno di insulina esogena, ma sempre sotto copertura di immunosoppressivi. In Cina, la startup Reprogenix Bioscience sta sperimentando la produzione di isole a partire da cellule di tessuto adiposo del paziente, con risultati preliminari incoraggianti ma sempre con necessità di protezione farmacologica.

PROSPETTIVE FUTURE

Sia l’approccio autologo sviluppato a Pechino sia quello di Seattle dimostrano che la ricerca sulle terapie cellulari per il diabete di tipo 1 sta facendo progressi. Ma si tratta, al momento, di esercizi scientifici più che di soluzioni applicabili nella pratica clinica. Restano enormi sfide: i costi elevati, i processi complessi, la necessità di dimostrare sicurezza ed efficacia su larga scala. La strada verso una cura definitiva è dunque ancora lunga, ma i risultati ottenuti indicano che la direzione intrapresa potrebbe essere quella giusta.

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