E se lo smartphone potesse accorgersi di un disturbo neurologico prima ancora di noi? Oggi non è più fantascienza: il modo in cui digitiamo un messaggio, muoviamo il telefono o parliamo a un assistente vocale può in parte rivelare i primi segni di alterazioni motorie o cognitive. È l’obiettivo di una nuova generazione di strumenti digitali che, grazie a sensori e intelligenza artificiale, stanno trasformando oggetti di uso quotidiano in alleati per la diagnosi e il monitoraggio delle malattie del cervello.
SCLEROSI MULTIPLA: A CACCIA DI “SBAVATURE COGNITIVE”
Uno di questi progetti, attualmente in fase di reclutamento, ha l’obiettivo di capire quali funzionalità del telefono siano più utili per diagnosticare e monitorare la sclerosi multipla. Durante la fase silente della malattia, infatti, la persona non mostra sintomi clinici evidenti, ma inizia a manifestare piccoli segni, delle «sbavature cognitive», che potrebbero essere intercettate dallo smartphone durante l’uso quotidiano.
«Il cellulare è una meravigliosa macchina di misura», commenta Pasquale Arpaia, direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca su Management e Innovazione in Sanità (CIRMIS) dell’Università Federico II di Napoli. «Il nostro movimento, il modo in cui digitiamo numeri e lettere, le esitazioni nello scegliere, aprire e chiudere le App: tutto questo può diventare un indizio, un campanello d’allarme che il cellulare coglie prima di noi».
Da questa intuizione è nata un’App di intelligenza artificiale, sviluppata dai ricercatori del CIRMIS, dell’Università Federico II e dell’Università Vanvitelli, pensata per intercettare piccoli difetti cognitivi e di motricità fine, utili a diagnosticare i sintomi silenti della sclerosi multipla.
L’APP ANALIZZA MOVIMENTI ED ERRORI DI BATTITURA
«La prima fase del nostro lavoro consiste nell’addestrare l’App. La faremo usare a persone con sclerosi multipla già diagnosticata, in cui la malattia è regredita con le cure e non dà manifestazioni cliniche evidenti. In questo modo l’algoritmo imparerà a riconoscere i sintomi silenti anche in chi non ha ancora ricevuto una diagnosi».
Per addestrare l’algoritmo vengono raccolti diversi dati dallo smartphone, sia relativi all’uso quotidiano sia provenienti dai sensori interni. I registri delle chiamate, gli SMS, l’attività sul calendario, la cronologia del browser e l’utilizzo delle applicazioni possono riflettere cambiamenti cognitivi, di memoria, di interessi o di interazione sociale.
Allo stesso tempo, sensori come accelerometro, giroscopio, GPS, antenna, Bluetooth, microfono, sensore di luce e prossimità consentono di monitorare equilibrio, coordinazione, mobilità, linguaggio e abilità motorie.
«Non sappiamo ancora quali di queste funzioni si riveleranno davvero utili per la diagnosi: sarà l’algoritmo a dircelo», aggiunge Arpaia.
LA CASA COME PRIMO LUOGO DI CURA
Questo approccio si inserisce in un quadro più ampio di trasformazione del Servizio Sanitario verso il potenziamento della medicina territoriale, come sottolinea Maria Triassi, Professore Ordinario di Igiene, Epidemiologia e Medicina Preventiva all’Università Federico II di Napoli.
«Il PNRR ha stanziato fondi specifici per la digitalizzazione in medicina. L’idea è alleggerire la pressione sugli ospedali e portare, quando possibile, alcuni aspetti della presa in carico del paziente sul territorio. Le tecnologie digitali ci consentono di trasformare la casa nel primo luogo di cura».
SENSORI PER MONITORARE IL DECLINO COGNITIVO
«I sensori posizionati nelle abitazioni permettono di valutare la qualità del sonno, la camminata e la motilità, gli spostamenti e l’attività fisica, senza che il paziente debba indossare nulla», spiega Andrea Arighi, Direttore della SSD Neurologia – Malattie Neurodegenerative presso la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.
Arighi coordina il progetto Serenade, dedicato allo sviluppo di strumenti domestici per monitorare il declino cognitivo e l’Alzheimer. Circa la metà delle persone a cui viene diagnosticato un lieve declino cognitivo dopo cinque anni sviluppa Alzheimer o un’altra forma di demenza. «La sfida per i neurologi è capire in quali pazienti la condizione evolverà in demenza, così da arrivare a una diagnosi precoce».
Il progetto prevede l’installazione di sensori in casa e l’uso di dispositivi indossabili per osservare la vita quotidiana. Ai partecipanti viene inoltre fornito un assistente vocale che, una volta a settimana, propone una valutazione cognitiva attraverso domande rivolte direttamente al paziente.
PARKINSON: L’ANALISI DEI TREMORI
Anche nello studio del Parkinson, malattia caratterizzata da sintomi motori come i tremori a riposo, questo filone di ricerca è molto attivo.
«I sensori del telefono possono rilevare i tremori – distinguendo quelli a riposo da quelli non a riposo – e i problemi di coordinazione», spiega Luigi Lavorgna, neurologo presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli.
Una review pubblicata nell’agosto 2025 su Neurological Sciences – firmata, tra gli altri, anche da Lavorgna e Arighi – fa il punto sulle innovazioni della neurologia digitale. L’analisi dell’andatura tramite sensori indossabili può non solo identificare i tremori tipici del Parkinson, ma anche distinguere la malattia dai parkinsonismi atipici.
LA NEUROLOGIA DEL MONDO DIGITALE
Questi strumenti possono sembrare complessi o poco pratici per i pazienti più anziani, ma le nuove generazioni sono nate e cresciute in un mondo digitale: per loro l’uso di queste tecnologie sarà naturale. «I device indossabili sono sempre più diffusi e studiati in medicina. Il mondo va in questa direzione e anche la neurologia deve fare lo stesso», osserva Lavorgna.
Perché ciò accada, è fondamentale che i neurologi ricevano una formazione specifica. Quest’anno si è svolta la seconda edizione del Digital Neuro Hub, corso promosso dalla Società Italiana di Neurologia (SIN) in collaborazione con Biogen Italia, rivolto ai giovani neurologi.
IL NODO DELLA PRIVACY
Uno degli aspetti più delicati nello sviluppo di App e strumenti capaci di raccogliere dati nella vita quotidiana dei pazienti è il rispetto della privacy. Gli algoritmi acquisiscono una grande quantità di informazioni sensibili, che devono essere adeguatamente protette.
«Quando sviluppiamo questi sistemi dobbiamo tenerne conto», sottolinea Arighi. «Per esempio, nello studio Serenade gli spostamenti registrati sono completamente delocalizzati».
Nello studio di Napoli sulla sclerosi multipla, i ricercatori usano dati esclusivamente quantitativi e non qualitativi: l’App non ha accesso ai contenuti, ma solo alla velocità di digitazione o al numero di errori.
Tutte le App e gli strumenti digitali a fini medici devono ottenere la certificazione come medical device e la marcatura CE, che richiedono verifiche e test di sicurezza.
VERSO I BIOMARCATORI DIGITALI
Siamo in una fase sperimentale – non priva di sfide – in cui la neurologia cerca di capire come sfruttare gli strumenti digitali. «Siamo solo all’inizio – conclude Arighi –, ma immagino che in futuro esisteranno dei biomarcatori digitali che, attraverso strumenti tecnologici, ci supporteranno nella diagnosi precoce, nella diagnosi differenziale, nel monitoraggio dell’evoluzione del paziente e nella valutazione dell’efficacia delle terapie».